Cresce di giorno in giorno la preoccupazione di e per infermiere e infermieri in tutte le regioni maggiormente colpite dal virus per le pesanti e insicure condizioni di lavoro a cui sono costretti. Il Piemonte e la nostra ASLTO4 non fa eccezione, anzi.
“ASLTO4 al collasso”, titola il comunicato del 26 marzo del Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche, «La situazione è drammatica e si deve procedere con immediate assunzioni. (…) Tra colleghi che si stanno ammalando e altri allo stremo delle forze, non è possibile continuare a chiedere sacrifici al personale. Si proceda con massicce assunzioni e si paghino prestazioni aggiuntive a chi rischia la vita tutti i giorni in corsia.»
All’ospedale di Ivrea nella settimana appena trascorsa hanno dovuto aprire due nuovi reparti Covid-19, arrivando così a quota 5, aumentano i reparti, ma il personale ad oggi è sempre lo stesso, con evidente peggioramento delle condizioni di lavoro. “I dispositivi piano piano arrivano”, ci dice un’infermiera, e dietro quel “piano piano” c’è tutta la stanchezza, l’amarezza e la preoccupazione per una situazione al limite. Per le direzioni sanitarie locali, scelleratamente trasformate nel 1992 dal Governo Amato, ministro della sanità De Lorenzo, in aziende dotate di autonomia, anche economica proprio come un’azienda, e svincolate da un’organizzazione centrale dipendendo dalle Regioni, la priorità deve essere la garanzia di sicurezza e dignità del lavoro degli operatori sanitari, infermieri, medici, addetti alle pulizie.
I ritardi della Regione
Se non ci sarà un’accelerata nell’approvvigionamento dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), nell’assunzione di nuovo personale e nella gestione dei posti letto (quelli delle cliniche private vanno messi subito a fattore comune, almeno per i malati “ordinari”), si rischia il collasso di tutto il sistema sanitario piemontese. La Regione Piemonte si sta muovendo tardi e male. Per l’acquisto dei DPI si è attivata solo venerdì e per di più facendo un bando. Modalità assolutamente inadeguata per via dei tempi lunghi di esecuzione. La Regione deve acquistare subito tutti gli strumenti e dispositivi necessari, direttamente, per vie alternative. In situazioni eccezionali si devono adottare misure eccezionali, la burocrazia va tagliata, si deve e si può fare. Il compito di alleggerire i passaggi burocratici per gli acquisti delle Regioni certo spettava al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, che fra i suoi compiti ha proprio la gestione delle fasi di approvvigionamento e gestione nei presidi sanitari. Ma in carenza gestionale, la Regione può ben farsi carico di una decisione quando questa serve a proteggere e curare operatori e cittadini. In questo contesto critico si inserisce il tema dei tamponi al personale sanitario. Ancora non si capisce quale sia la strategia dei tamponi da eseguire sugli operatori sanitari e «ogni azienda sanitaria, ogni direzione di presidio e addirittura ogni direzione di dipartimento usa le sue regole – denuncia il Nursind – E’ vero che per decreto legge la quarantena agli operatori sanitari è concessa solo in caso di sintomatologia respiratoria ed esito di tampone positivo, ma se i tamponi non li facciamo almeno a coloro che hanno avuto un contatto stretto con persona positiva accertata e hanno sintomatologia, continueremo ad avere operatori contagiati che lavorano, diffondono e che invece andrebbero isolati.»
Colmare le carenze per l’oggi e per il domani
Verrà il tempo per denunciare le responsabilità dell’impoverimento del servizio sanitario pubblico, ora è il tempo di colmare immediatamente le carenze, aumentare l’organico negli ospedali, assumere medici e infermieri, aumentare i posti letto. Ad oggi sono circa 1.470 gli operatori sanitari, medici, infermieri e OSS assunti con diversi contratti dalle Asl piemontesi, di questi solo 52 per tutta l’AslTO4. Va sondata la possibilità di aumentare questi numeri, e tutti i rapporti di lavoro dovranno essere stabilizzati, non devono essere temporanei per l’emergenza, perché il nostro sistema sanitario era già in ginocchio prima del corona virus e questa drammatica emergenza deve essere almeno l’occasione di riparare agli sciagurati tagli dei degli anni passati. E perché «superata l’emergenza coronavirus ci sarà una nuova grande emergenza: la gestione di tutte le prestazioni sanitarie annullate/rinviate in questi mesi (esami, visite, interventi) e la presa in carico delle cronicità, che in questo periodo stanno pagando un costo altissimo derivante dall’impreparazione del nostro sistema rispetto all’emergenza. – come scrive Tonino Aceti, portavoce della Fnopi (Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche) – L’attuale carenza complessiva è di oltre 20mila unità di infermieri per poter fare fronte alle necessità legate al rispetto della normativa europea su turni e orari di lavoro nelle strutture del SSN e di oltre 30mila unità per rendere efficiente l’assistenza sul territorio.», conclude Aceti.
Non siamo eroi, noi siamo quelli di sempre
«… Lo dico a nome del Governo, ma sono sicuro che tutti i membri del Parlamento possano ritrovarsi in quest’impegno, non ci dimenticheremo di voi e di queste giornate così rischiose e stressanti … », sono le parole del Presidente del Consiglio Conte rivolte agli infermieri impegnati nell’emergenza Covid. Dovunque si parla degli operatori sanitari come degli eroi. Ebbene gli infermieri non vogliono essere chiamati eroi, vogliono essere messi nelle condizioni di lavorare degnamente. “Noi siamo quelli di sempre”, ripetono. E chiedono dove erano quelli che oggi li mettono su un piedistallo quando si tagliavano i posti letto, quando si chiudevano gli ospedali, quando si limitavano strumenti di lavoro, macchinari, personale sanitario e tecnico, in nome del “pareggio di bilancio” fino a portare l’Italia ad avere meno posti letto per 1000 abitanti rispetto a tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale.
Gli infermieri non devono fare la fine dei vigili di NYC
Il nuovo clima di collaborazione creato dall’emergenza virus sembra determinare un’occasione quasi unica, per riportare i soggetti principali che fanno e rendono viva la sanità pubblica ad essere protagonisti non solo nella battaglia per salvare il paese ma per determinare e decidere il futuro del nostro sistema sanitario nazionale. «Medici, infermieri, OSS, amministrativi, operatori dei diversi servizi ausiliari non devono fare la fine dei vigili di NYC: qualche medaglia, le targhe, i bei drammatici ricordi – scrive Marco Prina della CGIL di Moncalieri, infermiere, sul numero di marzo della rivista Lavoro&Salute. Questo paese non ha bisogno di eroi da ricordare, ma di un soggetto attivo e operante che si è conquistato sul campo con la propria competenza, bravura e umiltà il diritto di parola, sul proprio lavoro e sulla difesa e promozione della salute, rispetto alla politica. Da li non si dovrebbe più tornare indietro. Non è purtroppo una certezza, ma un semplice appello a non fermarsi all’emergenza ma a continuare, anche e soprattutto con il “ritorno all’ordine”, a farsi carico in prima persona della battaglia per rendere la sanità un bene obbligatoriamente pubblico.
Cadigia Perini