Con una lettera al giornale Luca Vonella dà inizio alla rubrica TEATRO GLOCAL
questo è il primo articolo che dà inizio al mio rapporto con te. Ti sono grato per avermi concesso questo spazio. Ho deciso di dargli la forma di una lettera affinché si sviluppi come una specie di dialogo immaginario; perché ho una simpatia per te e per il lavoro culturale ad Ivrea con Rosse Torri.
Ivrea è una città significativa. Per me è memorabile per il Convegno del 1967, un momento storico in cui registi alla ricerca di nuove strade, si confrontarono condensando il potenziale dell’avanguardia teatrale italiana, riformulando la sintassi della regia ma soprattutto per smuovere il clima stantio dell’ambiente. Un momento di protesta artistica e di nuove definizioni. Ivrea mi mette in contatto con un evento originario del teatro che sento appartenermi. Ogni volta che ci metto piede risogno questa turbolenta riunione a cui parteciparono uomini di teatro inquieti come Carmelo Bene, Eugenio Barba, Leo De Berardinis, Franco Quadri, Dario Fo e molti altri.
Proprio a Ivrea, da marzo 2018, mi è stato affidato un laboratorio in carcere. Io e Anna abbiamo avuto l’incarico da parte dell’associazione AVP (Associazione Volontari Penitenziari) “Tino Beiletti”, di realizzare uno spettacolo in 4 mesi. Non sapevo cosa avrei messo in scena; sapevo solo che volevo compiere una specie di viaggio per provare a sfiorare la bellezza. Io ed Anna, caro varieventuali, siamo parte del Teatro a Canone, di cui fanno parte anche Cinzia Laganà, Chiara Crupi e Laura Prono. La nostra sede è a Chivasso. Siamo un gruppo.
Hanno aderito al laboratorio, attraverso la consueta “domandina”, 16 ragazzi. Il primo giorno ho capito che quel posto sprigionava una voglia di vivere fuori dal comune. Con i detenuti abbiamo iniziato lavorando sui principi base dell’attore, sulla tecnica e siamo arrivati a divertirci improvvisando. Il secondo giorno ho scoperto l’altra faccia di quella gioia: la depressione e la voglia di morire. Il carcere è un luogo in cui un uomo azzera, dilata o sospende la sua condizione esistenziale. Il teatro incontra questo spazio della sua vita. Questo laboratorio lotta continuamente tra il primo ed il secondo giorno, tra una vitalità straordinaria e l’abbattimento più profondo.
Il quarto giorno ho cominciato a pensare a delle marionette violente, a Dioniso ed il suo potente spirito animale che forgiava la ritualità della scena.
Il laboratorio si è svolto all’interno della Casa Circondariale, nella chiesa, dove pregano anche musulmani, ortodossi. All’entrata, io e Anna, veniamo perquisiti; ogni oggetto deve essere dichiarato. Percorriamo un corridoio che termina in una sorta di incrocio da cui si diramano altri corridoi di sbarre. Qui passeggiano i secondini, con le occhiaie sul volto e le chiavi giganti che gli penzolano dalla vita. Aspettiamo che ci aprano. Sembra il Purgatorio.
Ad un certo punto ho scelto di cominciare ad esplorare le maschere della commedia dell’arte. Un detenuto si è offerto di realizzarle, in cartapesta. Sai immaginare come mai, un detenuto che non ha mai fatto teatro sappia costruire maschere di cartapesta?
Ad ogni modo, avevo bisogno di una teatralità dinamica, popolare e comica. Fisica e concreta. Il compito era divertirci e far divertire. Non sapevo quale testo mettere in scena, il tempo era poco. Osservavo giorno per giorno che il gruppo di partecipanti che andava formandosi, era formato per lo più da marocchini ed un napoletano.
Il quinto giorno ho scoperto che i marocchini conoscevano Pinocchio. Era un patrimonio in comune su cui potevamo dialogare; potevamo capirci. A questo serve un testo? A mettere in relazione delle persone?
I testi classici, mutano a seconda dell’essere umano che li “calza” e sono sempre capaci di dirci qualcosa di nuovo. Qualcosa del nostro presente o della condizione che viviamo. Sono trascorsi i giorni ed abbiamo messo in scena Pinocchio dal Maghreb ma sto già pensando ad un altro titolo, tipo Burattini spezzati.
Caro varieventuali, di questo spettacolo non rimarrà nessuna foto, né video; è effimero come il teatro dei Comici dell’Arte. Perché in carcere, come immaginerai, non possono entrare cellulari, né altri strumenti del genere.
Pinocchio dal Maghreb verrà messo in scena il 4 e 5 giugno alle ore 14. Non lascerà traccia se non nella memoria emotiva di chi sarà presente. Potrà essere visto soltanto da 40 persone ospiti della Casa Circondariale di Ivrea oltre a 50 detenuti degli altri piani.
Spero ci sarai e spero che ci saranno tante persone che vogliano assistere ad un momento che fa incontrare i frammenti di una comunità.
Per accedere bisogna inviare alla Direzione del carcere ([email protected]) o al Teatro a Canone ([email protected]) la fotocopia di un documento di identità entro giovedì 31 maggio.
Luca Vonella