All’indomani dello sciopero del 20 maggio, nelle scuole ci si sta leccando le ferite.
Le cose, infatti, sono andate decisamente molto peggio di quanto si potesse prevedere: secondo le stime più pessimistiche si pensava che la partecipazione allo sciopero di Cgil, Cisl, Uil e Snals non sarebbe andata molto al di là del 15% e invece il risultato finale è stato a dir poco disastroso: 8-9%.
Sul perchè del flop si possono fare molte considerazioni.
Una riguarda certamente il fatto che due scioperi ravvicinati (il 12 c’era già stata la protesta di Cobas, Unicobas e Gilda) sono serviti solo a creare ulteriore confusione nelle scuole e a provocare una scarsa adesione ad entrambe le iniziative. C’è chi parla anche di “sindacati che hanno perso credibilità”, ma forse andrebbe precisato che a perdere consensi sono soprattutto i sindacati rappresentativi incolpati da molti di essersi comportati in modo contraddittorio e incoerente. Una delle critiche più frequenti è di questo tenore: “Ma come si fa a chiedere ai docenti di scioperare dopo aver di fatto sottoscritto il contratto sulla mobilità con il quale è stato di fatto accettato uno degli aspetti più controversi della legge di riforma (albi territoriali ed eliminazione della titolarità sulla scuola) ?”
Ma il malumore maggiore riguarda il fatto che dell’operazione “un vietnam in ogni scuola” preannunciata nell’estate scorsa dai sindacati non si è visto assolutamente nulla, mentre si è assistito quest’anno al tentativo dei 4 sindacati maggiori di “cogestire” i problemi connessi con le criticità più evidenti della legge 107. Senza parlare degli evidenti errori di comunicazione ai quali si è assistito un po’ dovunque: l’informazione sulle ragioni dello sciopero (alle volte persino sulla stessa esistenza) è stata approssimativa, quasi inesistente; in molte scuole, anche nel nostro territorio, non hanno scioperato neppure i rappresentanti sindacali. In realtà in questi mesi, nelle scuole, si è visto davvero di tutto con i sindacati rappresentativi che, da un lato, contestavano il cosiddetto “bonus premiale” per valorizzare la professionalità docente e dall’altro incoraggiavano le proprie RSU a far parte dei comitati di valutazione che per legge devono definire i criteri per l’attribuzione del premio.
Proprio sulla questione del bonus premiale, i sindacati del comparto stanno perdendo non poca credibilità nelle scuole, accettando meccanismi che quanto meno discutibili. In molte scuole, per esempio, i criteri sono stati decisi solo da pochissimi e quindi “a giochi fatti”. In questo modo i criteri finiscono di avvantaggiare, di fatto, questo o quel gruppo di docenti.
Facciamo un esempio fra i tanti che si possono trovare in rete: se uno dei criteri è “aver utilizzato la LIM” nelle proprie attività didattiche, è del tutto evidente che ne vengono avvantaggiati i docenti che hanno più facilità di accesso alla LIM (non dimentichiamo che non in tutte le scuole d’Italia le LIM sono presenti in ogni aula). E che dire dei criteri “ha partecipato con la classe a concorsi rivolti agli alunni” o “ha partecipato con la classe a viaggi di durata superiore a un giorno”?
Diciamo la verità: sembrano criteri “inventati” appositamente per favorire questo o quel gruppo di insegnanti. In qualche scuola, nel tentativo si sopire le polemiche, si sta adottando un meccanismo di tipo autovalutativo: in pratica ogni insegnante dovrà compilare una sorta di “scheda” con la quale si potrà attribuire un punteggio su una serie di indicatori definiti dal comitato di valutazione. Francamente più che di autovalutazione, che è una cosa molto seria, io parlerei di un modello autoreferenziale che non ha assolutamente nessun fondamento razionale.
Se in quelle scuole si dovesse utilizzare un sistema simile anche per valutare gli studenti, il tenore delle interrogazioni dovrebbe essere più o meno questo.
Prof di storia: “Allora, oggi interroghiamo Rossi. Hai studiato, Rossi?”
Rossi: “Affermativo, prof!”
Prof: “Sicuro, sicuro?”
Rossi: “Ma certo, prof, mi sono ammazzato di studio per una settimana; guardi qui, il libro è tutto sottolineato…”
Prof: “Va bene. Allora, se ti chiedo qualcosa sulla terza guerra di indipendenza, tu che mi dici?”
Rossi: “La so, la so, prof, ho persino guardato un documentario su Rai education”
Prof: “Molto bene Rossi, io ti darei 8 e mezzo”
E su questa e altre amenità i sindacati non sono riusciti a intervenire né direttamente né tantomeno attraverso le proprie rappresentanze sindacali. D’altra parte neppure un sindacato “di lotta” come la Cgil sembra brillare molto per iniziativa.
Da più di un mese, infatti, è stata avviata a livello nazionale la campagna referendaria per chiedere la cancellazione di 4 norme della legge di riforma (alternanza scuola-lavoro, premialità, chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti scolastici, agevolazioni fiscali per la frequenza in scuole paritarie). La campagna è sostenuta da un ampio schieramento di cui fa parte anche la Cgil. Da diverse settimane in diverse città italiane funzionano banchetti e punti per la raccolta delle firme.
Sul nostro territorio, dove pure un po’ di firme si potrebbero raccogliere, il “popolo della scuola” non si è ancora mobilitato in questa direzione e la raccolta non sembra procedere con molta convinzione.
Peccato che i tempi sono stretti e – per quanto ne sappiamo ora – per il momento è stato appena superato il tetto delle 200mila firme. Di questo passo il rischio è che non si arrivi neppure al voto. C’è anche da chiedersi come è possibile che ci siano comitati che deliberano a cuor leggero criteri banali o che, addirittura, creano le condizioni per palesi disparità di trattamento. In ogni caso è inevitabile che meccanismi del genere alimentino ulteriori malumori all’interno della scuola e non contribuiscano ad una soluzione ragionevole e razionale del molteplici problemi legati alla valorizzazione del merito dei docenti.
Situazione aggravata proprio dal fatto che in questi mesi i 4 sindacati maggiori (Cgil, Cisl, Uil e Snals) hanno “mollato la presa” e si sono praticamente disinteressati di ciò che stava accadendo nelle scuole.
Ma quali possono essere le conseguenze di questo evidente calo di tensione all’interno delle scuole e delle stesse organizzazioni sindacali? Quella più immediata potrebbe essere una accelerazione dell’operazione “bonus premiale”; subito dopo ci sarà l’inevitabile chiusura della partita della chiamata diretta con il nulla di fatto su ogni ipotesi di accordo contrattuale in materia (per il momento resta teoricamente aperta la possibilità che sull’argomento si arrivi ad un accordo fra ministero e sindacati).
E se poi davvero il Comitato referendario non riuscisse a mettere insieme le firme necessarie, sarebbe la disfatta per il fronte del “no legge 107” e, a partire dal prossimo settembre, il clima nelle scuole potrebbe davvero cambiare in modo definitivo, con conseguenze imprevedibili anche sul funzionamento quotidiano: la “vivacità” didattica di una scuola, infatti, è anche direttamente collegata al dibattito culturale e politico che in essa si sviluppa. In una scuola “normalizzata” c’è il rischio che prevalga il “pensiero unico” con tutto ciò che ne deriva.
A quel punto le scuole potranno anche essere ben dotate di tecnologie e altre “diavolerie moderne” ma difficilmente saranno vere comunità in cui i ragazzi potranno imparare a diventare cittadini.
Reginaldo Palermo | 25/05/2016