A proposito dell’incontro con Amedeo Cottino all’Anpi di Ivrea
I grandi capitali sono in crescita ed entro il 2025 raddoppieranno. «I patrimoni dei ricchi – leggiamo infatti su La Stampa (6/11) – guardano a nuove vette record». Ciò significa che «ci sono sempre più miliardari nel mondo e anche le disponibilità sono in aumento». E di ciò dovremmo essere contenti. Sennonché, per timore di doverne dare una quota agli altri sotto forma di tasse, al fine di provare ad attenuare la disuguaglianza e con essa il flagello della povertà, alcuni di loro preferiscono nasconderli e conservarli nei paradisi fiscali. È un problema vecchio quanto il mondo e ben prima di Marx e dell’International Consortium of Investigative Journalistes, un certo Gesù di Nazareth l’aveva denunciato e trasmesso ai suoi discepoli: «Ve lo ripeto, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19, 24). Ancora più aderente allo spirito dei tempi e alla realtà contemporanea è inoltre quanto del Nazareno riporta il vangelo di Tommaso: «A colui chi ha verrà dato, ma a colui che non ha verrà tolto anche quel poco che ha» (log. 46/41).
Non è da molto che sulla terra, proprio a causa della povertà sistematicamente ingenerata con la violenza dai più ricchi (quasi sempre dietro alle logiche della guerra, ben nascosti dietro alla Scena della Violenza, pur essendone parte interessata e attiva), alcuni uomini vivi si nutrivano con patate cresciute sulla cenere di uomini morti. Oggi, per motivi analoghi, nel mare, altri uomini vivi mangiano pesci che si nutrono di esseri umani morti. E se gli uomini vivi che mangiano animali morti sono a loro volta animali carnivori, che cosa, se non doppiamente carnivori, possono mai essere gli uomini che si nutrono di animali che a loro volta si sono nutriti di esseri umani?
A proposito di questo ruolo ambiguo dei più ricchi nella Scena della Violenza, fra le tante idee interessanti che abbiamo appreso dal saggio di Amedeo Cottino (ordinario di sociologia del diritto all’Università di Torino) C’è chi dice no. Cittadini comuni che hanno rifiutato la violenza del potere (presentato all’inizio di novembre all’Anpi di Ivrea), ce n’è una particolarmente illuminante che ha destato la nostra attenzione. La Scena della Violenza, dice Cottino, non è mai solo duale o manichea, non si regge cioè sulla semplice contrapposizione dialettica bene-male, luce-tenebre, vittima-carnefice. Certo, a un occhio disattento può apparire così. E alcuni capi di Stato, in particolari circostanze, all’unico scopo di educare le masse a quella percezione superficiale, si affrettano a invocare un principio del Bene da opporre in un’infinita lotta contro il principio del Male. Tutto al contrario, la Scena della Violenza, asserisce Cottino, presuppone invece nella realtà sempre la centralità, la medietà di un Terzo, grazie al quale i due elementi antitetici possono incontrarsi, oppure scontrarsi e annullarsi vicendevolmente.
A causa della sua ombrosa fuggevolezza, il Terzo è sempre presente anche quando è di fatto assente. Anche in contesti in cui le guerre sembrano non esserci. In continuità o in correlazione con le parti contrapposte, il Terzo svolge il suo ruolo nell’anonimato. Spesso l’anonimia è sistematica o strutturale e pertanto impercettibile e astratta: «L’Esecutore [della Violenza] – scrive il sociologo – non è necessariamente un soggetto individuale (..). La violenza può essere esercitata da strutture e cioè da soggetti, per definizione, acefali» (p. 54). Proprio a causa di ciò, le Vittime, dal canto loro, spesso «ignorano di esserlo».
Cottino a tal proposito porta l’esempio eclatante dell’industria dell’amianto in Italia, dell’Eternit di Casale Monferrato, oppure quello della Thyssen Krupp di Torino. L’Ilva di Taranto è un altro caso, sebbene qui i cittadini stiano drammaticamente prendendo coscienza della perversa contraddizione creatasi tra lavoro e vita, tra lavoro e ambiente, in un nodo bio-economico a quanto pare irresolubile.
Ma se ne potrebbero fare tanti altri, forse meno clamorosi, ma non per questo meno invasivi e violenti. Un altro caso è sicuramente quello riguardante il settore dello smaltimento rifiuti, sia civili sia industriali. Specificare qui serve, perché, abitualmente e irresponsabilmente, alcune industrie per poter contenere i costi di smaltimento dei residui industriali si affidano a ditte che mischiano gli scarichi civili a quelli industriali (spesso inquinanti e velenosi), mettendo così a rischio la salute e la vita degli ignari abitanti. Tutto ciò accade sia al sud che nel nord Italia e con il consenso degli Enti locali che concedono siti di smaltimento troppo vicini ai centri abitati. Chi ha orecchi per intendere, intenda! Il più delle volte taluni amministratori sono costretti a ricorrere a queste strategie al limite dell’illegalità non tanto per il loro zelo ma per far quadrare i conti, ossia per fare cassa in tempi di crisi. Lasciando così credere ai cittadini che quell’operazione sarebbe stata utile a ridurre l’imposta comunale sui rifiuti o, nel caso si tratti di contadini, a utilizzare il concime ottenuto dalle ditte di compostaggio, come fertilizzanti per i loro campi già abbondantemente ammorbati dalla presenza di discariche e dall’utilizzo incontrollato di insetticidi e diserbanti. A questo punto, quando gli abitanti risiedenti nella zona interessata, a causa del rilascio nell’aria di sostanze bruciate (soprattutto quando, per contenere i costi, gli impianti di filtraggio e di depurazione non sono a norma), cominciano ad avvertire i primi disturbi e i primi malesseri, è già troppo tardi, perché il danno alla salute è già stato arrecato. Della gravità del danno alle persone non si è immediatamente consapevoli. Il fattore tempo qui gioca a favore di questa cricca di imprenditori e amministratori. Anche quando successivamente quell’impianto verrà chiuso, magari con tanto di delibera comunale, l’eventuale danneggiamento, l’eventuale lesione è già stata provocata e le conseguenze si vedranno solo a distanza di anni. Ma in quel momento, con chi prendersela? Da qui l’astrattezza e l’acefalia della struttura anonima del Terzo tipo.
Per analizzare il complesso problema generato dal riconoscimento della violenza subita o commessa, Cottino rievoca Lord Jim di Conrad. A noi, leggendo il suo testo, ci veniva in mente un altro modo di leggere la nona Tesi sulla storia di Benjamin. La tempesta che soffia nelle ali dell’angelo della storia non è, come pensa Benjamin, solo metafora del progresso e della Dialettica dell’Illuminismo. Come forza che agisce dall’interno del progresso, questa tempesta rappresenta piuttosto la forza opposta ad esso, ossia il regresso. Il progresso è visibilmente calcificato e pietrificato nelle macerie e nelle discariche che ammorbano il mondo e che si innalzano minacciose dinanzi all’angelo inorridito e disgustato, il quale, più che trattenersi per cercare di ricostruire e ripulire, cerca piuttosto di allontanarsene. Non dovrebbe, dunque, chiamarsi Angelus Novus questo angelo di Paul Klee, ma Angelus Vetus: l’angelo della storia del regresso umano all’animalità, la storia non di una ascesa, ma di una caduta.
E, visto come vanno le cose oggi in Europa e nel mondo, si è obbligati a riprendere con un certo stupore le parole dell’apostolo più amato da Gesù, secondo cui «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini [continuano a preferire] le tenebre alla luce» (Gv 3, 19).
Franco Di Giorgi