Mai farsi arrestare di venerdì: un singolare esperimento letterario

L’esperienza della detenzione come spunto di riflessione sul carcere

Domenica 12 ottobre la libreria Azami di Ivrea ha organizzato la presentazione del volume “Mai farsi arrestare di venerdì” scritto da Tzarina Caterina Casiccia, edito da Eris Edizioni.

Se il titolo del libro è accattivante, il sottotitolo lo è ancora di più e incuriosisce per quanto sia decisamente singolare come esperimento letterario: “Memoir di un’esperienza carceraria con poesie d’amore verso la fine del mondo”. Un piccolo ma significativo saggio sull’esperienza del carcere (e del senso del carcere stesso) accompagnato da poesie d’amore. Il saggio memorialistico accompagnato da poesia si era mai visto?

Partiamo dall’inizio. Tzarina Casiccia è poeta (per una volta che il femminile vince, usiamolo) e, come in un film di Fellini, scappata col circo a Barcellona, nel 2021 viene arrestata nel corso di una manifestazione per la libera espressione, con accuse pesantissime. Da questa tragica esperienza prende vita il libro presentato domenica. Ma siccome la casa editrice Eris, con cui un’amica l’ha messa in contatto, non pubblica poesia, viene proposto a Tzarina di affiancare ai suoi componimenti un testo che ne espliciti meglio il contesto di ispirazione. Ecco come nasce “Mai farsi arrestare di venerdì”. Ma cosa sono esattamente le poesie d’amore verso la fine del mondo? Sono poesie nate in momenti particolari come la pandemia o l’esperienza del carcere, cioè momenti in cui si può dire che il mondo (interiore ed esteriore) è ad un punto di svolta cruciale: la fine di un mondo, appunto. E non c’è nulla di più logico che cercare l’amore in momenti come quelli.

Finalmente, abbiamo capito di cosa si tratta. La prima domanda, posta dalla moderatrice Cecilia Belletti, è servita proprio ad inquadrare l’oggetto che tutti noi presenti teniamo in mano. Un bellissimo libricino rosso che ci racconta l’amore in forma poetica con l’ausilio di una mappa di fatti e di commenti sul contesto di riferimento. Capite bene che ci troviamo di fronte ad una presentazione non proprio ordinaria. Ci troviamo di fronte ad un nuovo genere letterario ed è doveroso soffermarci sull’importanza di questo coraggioso e singolare esperimento editoriale. Non è infatti una lettura consueta quella che ci aspetta: stralci di resoconto della carcerazione, riflessioni profonde e sociologiche sull’istituzione carcere e la sua necessità, inframmezzati da squarci poetici rivelatori. Il tutto nella cornice dello sguardo di genere.

Un’esperienza personale diventa quindi lo spunto per una profonda analisi sull’istituzione carceraria come forma di punizione estesa a reati che molto hanno a che vedere con l’ingiustizia sociale, economica, di classe e di genere e poco con la necessità reale di allontanare dal consesso sociale chi quei reati li compie. La poesia e la scrittura sono forma di dialogo col mondo, con la contemporaneità e con le tante altre voci che di quei temi hanno ragionato, cioè sono il modo in cui arte e pensiero diventano utili a comprendere ciò che ci circonda e aiutano a proporre soluzioni alternative al nostro modello di vita.

Punizione o riabilitazione? Ecco la grande domanda da cui parte l’indagine su cui si basa il testo di Tzarina Casiccia, ampliando il tema fino al centro del senso stesso del concetto fondativo del carcere, cioè la privazione della libertà. Si può pensare a qualcosa di alternativo veramente applicabile, senza cambiare il paradigma intero del nostro modello di società? Se i muri del carcere fossero trasparenti forse l’incontro tra i due mondi sarebbe immediato (senza filtri in mezzo) e porterebbe finalmente a vedere l’essere umano nella sua interezza, non solo il reato con cui lo si identifica.

Questo cambio radicale richiede un nuovo umanesimo, un ritorno alla ricerca del bene e del buono, una disposizione all’incontro a cui al momento pare possa accedere solamente chi in carcere ci entra e lo vive dall’interno e che, come Tzarina, ha la sensibilità, l’altruismo e la capacità di renderlo visibile anche a chi, come noi, ne è fuori. La poesia d’amore verso la fine del mondo è quel luogo magico in cui ancora tutto è possibile, nello spazio minuscolo tra l’adesso e un nuovo inizio.

Si potrebbe restare ancora molto tempo ad ascoltare con quanta convinzione e con quanta disponibilità Tzarina srotola le sue articolate meditazioni sull’esperienza del carcere attraverso poesie e racconto, ma si rischierebbe di perdersi la sorpresa di gustarsi con calma la lettura del libro.

Grazie a Tzarina Casiccia per aver condiviso un’esperienza non come mera (seppur legittima) necessità catartica, ma per averla resa vera testimonianza poetica: quella che guarda, interpreta e cura il mondo.

Lisa Gino