Inaugurato più di tre anni fa, il Visitor Centre del sito Unesco di Ivrea si presenta come una polverosa vetrina e trasmette grigiore invece che bellezza e innovazione principi ben presenti nella cultura olivettiana.
“Nonostante le progettualità e le risorse impegnate per la candidatura Unesco e l’inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale di “Ivrea, città industriale del XX secolo”, lo spettacolo dei luoghi olivettiani rimane indecoroso, avvilente, e dimostra probabilmente una incapacità di base delle dirigenze della città a creare bellezza, armonia, attrazione.” Questo scrivevamo in un articolo nel settembre 2019. Tre mesi prima, il 7 giugno, c’era stata la cerimonia della posa ufficiale della Targa Unesco alla “portineria del pino” alla presenza di un bel parterre de rois (anche se non si dimentica che all’inaugurazione non furono invitati i rappresentanti di chi quegli edifici li ha vissuti ovvero i lavoratori, nella lunga lista degli invitati infatti mancavano le organizzazioni sindacali).
Alla cerimonia in pompa magna, non seguì però l’apertura del centro informativo né una campagna di promozione del sito su larga scala, perché in realtà non si era pronti ad accogliere visitatori.
Così con il passare dei mesi, la targa poteva solo ammirare il degrado che piano piano prendeva possesso del sito (erbacce alte, sporcizia di varia natura, …). Poi arrivò il Covid. Due anni di sospensione da tutto.
Finalmente il 3 luglio 2021 si inaugura il Visitor Centre. “Il Visitor Centre (…) è il luogo in cui i visitatori entrano in contatto con il sito Patrimonio Mondiale.”, si legge sul sito ufficiale del Sito Unesco eporediese.
Il luogo in cui i visitatori entrano in contatto con il Sito Patrimonio mondiale, si dice. Lo si immaginerebbe quindi un luogo bellissimo, attraente, vivo. Invece è una brutta vetrina, spiace, ma è così.
Le graziose aiuole installate davanti alla portineria del pino, lasciate libere di crescere, han preso come è normale che sia, il sopravvento. Particolarmente rigoglioso è diventato il cespuglietto nell’aiuola dove era piazzata la palina che informava che eravamo davanti al “Secondo ampliamento officine ICO”, oggi la si può leggere solo infiltrandosi a gomitate fra le fronde. E l’erba, anche ingiallita, fa capolino fra i cubetti di porfido come una moquette stanca. Spostando lo sguardo verso gli edifici, saltano subito agli occhi le porte a vetro alla destra dell’entrata: un mosaico di vecchi fogli incolati con nastri adesivi accartocciati fanno compagnia a cumuli di foglie, aghi di cedro (detto pino), e altri compagni organici.
Entrando lo scenario non cambia. Di fronte si vedono subito i familiari tornelli, a destra i locali della guardiania con un cartello con i pittogrammi della toilette. Forse meritava piazzare lì davanti un bel totem con due parole sul luogo dove si è entrati, la sua storia, qualche foto “viva” con l’ingresso delle lavoratrici e dei lavoratori.
Dai tornelli si intravvede il Salone dei 2000, ma lo sa solo chi conosce già l’edificio, chi ha lavorato alla Ico per anni. Ci sono delle transenne di metallo, tipo quelle dei cantieri (sic), che bloccano l’accesso, ma non lo sguardo: al di là, una transenna in plastica fa compagnia ad un po’ di sporcizia varia.
Di là le toilette, di fronte le transenne, il Visitor Centre sarà dunque a sinistra! È così, un discreto totem lo annuncia. Ed è qui che “i visitatori entrano in contatto con il sito Patrimonio Mondiale.”.
Come in antichi palazzi ristrutturati si lasciano a vista frammenti di affreschi antichi, sul muro a sinistra che precede l’ingresso al Visitor Centre affiorano scrostature importanti: inutile cercare di vedere un affresco fra queste, perché proprio di un muro scrostato si tratta.
Che pena proverà Natale Capellaro dai totem a lui dedicati piazzati proprio lì di fronte.
E fermiamoci qui, sulla soglia. Penso ce ne sia abbastanza per dire che no, così non va. Anche perché fa corollario a questo stato di apparente abbandono, l’area giusto di fronte alla portineria del pino.
Anche qui verde non curato, il caro vecchio cestino di olivettiana memoria che non ce la fa più, inclinato da un lato, cubetti di porfido sfuggiti alla dittatura della pavimentazione sparsi qua e là e quindi conseguenti buche nel percorso.
Bottiglie e altri rifiuti sono invece dono dei soliti ineducati, anche se chi opera in questi luoghi storici dovrebbe occuparsi meglio della pulizia degli stessi.
Passeggiando in questo tratto di via Jervis, non si ha proprio, nemmeno lontanamente, la percezione di essere immersi in un sito storico riconosciuto come Patrimonio dell’Umanità. Si avverte qualcosa di importante, gli edifici delle Officine Ico da soli sono uno spettacolo imponente, ma si avverte allo stesso tempo una condizione di abbandono.
Sul sito Unesco concorrono pubblico e privato, privati sono i luoghi, privato è chi gestisce il Visitor Centre, ma è pubblico il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità, pubblica la responsabilità di gestire questo patrimonio.
Un plauso va al sindaco Chiantore per aver inserito nel suo staff un site manager con il compito di “coordinare le attività e le strategie turistiche e culturali finalizzate alla valorizzazione del sito UNESCO di Ivrea”. Il dottor Ghisi ha il curriculum giusto per questo ruolo, forse il suo cuore batte più in Langa, essendo fra gli altri anche presidente e direttore operativo dell’associazione Turismo in Langa e direttore dell’associazione Strada Romantica delle Langhe e del Roero, ma questo nulla toglie alle sue competenze e capacità di gestione del sito Unesco eporediese. E non mancano gli interventi e iniziative anche di livello internazionale, gli studi, le conferenze, ma …
Ma come in tutti i progetti di valore non vanno trascurati gli interventi di base, semplici ma fondamentali, come la cura del primo impatto al nostro patrimonio industriale premiato dall’Unesco quale è l’area del Visitor Centre, oggi francamente una triste immagine.
Cadigia Perini