Insieme alla felicità, alla pace, all’amore, auguriamo sempre anche buona salute, riconoscendo a questa un fondamentale ruolo per il nostro benessere.
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, ci rassicura l’art. 32 della Costituzione. “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio.”, rinforza la legge 883 del 1978 che ha istituito il Sistema Sanitario Nazionale, modello assistenziale tuttora imitato e copiato in molti Stati del mondo. Ma nel paese dove è nato quel sistema viene preso invece a picconate, a morsi direi, pensando a quanto si è mangiato e si mangia ancora dall’istituzione delle Aziende Sanitarie Locali che hanno messo in solaio le Unità Sanitarie Locali.
La Legge 883/78 prevedeva le Usl quale complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane, i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale di cui alla presente legge. Una emanazione territoriale del sistema nazionale quindi.
Il decreto legislativo 502 del 1992 che ha istituito le Asl, così le descrive all’art. 1bis: “In funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, le unità sanitarie locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale”, quindi aziende indipendenti vere e proprie con autonomia organizzativa, gestionale, tecnica, amministrativa, patrimoniale e contabile.
E fu il principio della fine.
Come si sia potuto passare da una legge modello per l’universalità e il diritto alla salute alla gestione del sistema sanitario locale come una impresa, ancora dobbiamo chiedercelo. Ma sarebbe una domanda retorica, perché sappiamo bene come è andata, di nuovo, anche per un bene fondamentale come la salute, ha prevalso il profitto. La gestione della salute da parte delle Regioni possiamo dire che sia stata fallimentare e non solo dal punto di vista finanziario, ma e ben più grave da quello dei livelli di servizio agli utenti e delle condizioni di lavoro degli operatori sanitari. Alla gestione disinvolta (provate a digitare “scandalo sanità regione” su un motore di ricerca, ce n’è per tutta la penisola) si è poi aggiunta negli anni, sempre di più e sempre più sfacciatamente, la privatizzazione spinta della salute.
Il Piemonte in questo non è seconda a nessuno e in maniera politicamente trasversale. Siamo arrivati a privatizzare anche il servizio di Pronto Soccorso, come ad esempio a Tortona. “Quella di Tortona, purtroppo, sarà solo l’inizio di una privatizzazione generale che ha radici più profonde di quanto si possa immaginare. In Piemonte è stata infatti la vecchia Giunta di centrosinistra di Chiamparino a predisporre la vendita del Gradenigo a conferma del fatto che ormai le differenze tra centrodestra e centrosinistra siano sempre più esigue”, denuncia la consigliera regionale di Unione Popolare Francesca Frediani.
La nuova legge di bilancio del governo di centro-destra conferma questa tendenza: la finanziaria prevede infatti drastici tagli alla spesa pubblica tutta, per la sanità sono previsti solo 3 miliardi di cui una parte destinati alla sanità privata per abbattere le liste di attesa (sic), non per potenziare il servizio pubblico, ma a sostituirlo con chi fa business con la salute.
Le liste di attesa sono la manna per il privato: lunghissime per alcune specializzazioni, spesso nemmeno accessibili (quante volte ci siamo sentiti dire “richiami fra qualche giorno non abbiamo ancora il calendario delle visite”), e quando finalmente si ottiene una data può capitare che si debba andare a Cuneo, o in Val d’Ossola, o a Novara, inutile dire che chi non ha la possibilità per spostarsi o di rivolgersi alla sanità privata, annulla tutto e amen. Il paradosso poi è che è così alto il ricorso al privato che anche questo dà segni di cedimento.
Qualche settimana fa, un ospedale privato di Torino ha chiamato le persone già prenotate per una operazione per dire loro che era tutto rinviato a gennaio perché avevano finito il budget e chiudevano il reparto. Il risultato di questa scellerata gestione, molto lontana dalle intenzioni della legge 883, porta milioni di italiani a rinunciare a curarsi con buona pace della Costituzione e della tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività
L’augurio per il 2024? Salute! (pubblica, universale e gratuita naturalmente)
Cadigia Perini