Quattro candidati sindaco e una dozzina di liste per una tornata elettorale fondamentale per il futuro della città
Ci siamo: le raccolte firme per la presentazione delle liste sono iniziate e tra poche settimane (il 14 e 15 maggio) gli elettori eporediesi potranno votare Sindaco e Consiglio Comunale.
Potranno, appunto, perché la prima incognita è quanti andranno ai 24 seggi di Ivrea in una tornata elettorale che non gode del clamore mediatico (perché interessa solo un decimo dei Comuni italiani e nessuna metropoli). Cinque anni fa i votanti furono poco più della metà (55,2%) al primo turno e meno della metà (46,7%) al ballottaggio, vinto da Sertoli con il centrodestra per poche centinaia di voti (476 per l’esattezza).
Un’esperienza nuova per la città, una maggioranza e un’amministrazione che si presentavano come “il cambiamento”, ma che si sono presto rese insopportabili al punto da riuscire nel capolavoro di unificare tutta l’opposizione.
Così accade che PD, Viviamo Ivrea e Movimento 5 Stelle, con l’aggiunta di Laboratorio Civico, arrivino a questa scadenza elettorale con un programma condiviso e un unico candidato sindaco, Matteo Chiantore. E questo nonostante fossero note (e talvolta esplicite) le “aperture di credito” di cui per un lungo periodo l’amministrazione Sertoli ha goduto da parte di Viviamo Ivrea (che apprezzava “il cambiamento”) e anche da parte del M5S (in ossequio al mantra originario “né di destra né di sinistra”).
Unità del “centrosinistra” o “campo progressista” che dir si voglia, alla costruzione della quale molto ha contribuito sia Laboratorio Civico (che giustamente rivendica il lavoro svolto), sia la segreteria del PD eporediese guidata da Luca Spitale (nato renziano e “balluriano”, confermato poi da tutto il circolo eporediese l’anno scorso e in questi mesi anticipatore locale del “campo largo”).
Lavoro e scelte per l’unità che però non sarebbero bastate senza la convinta e diffusa necessità di togliere la guida della città a una coalizione dimostratasi inadeguata ed estranea all’idea olivettiana che la città ha di sé (aperta, innovativa, includente, partecipativa); estranea al punto da non essere nemmeno riuscita a valorizzare il traguardo Unesco nella sua concezione più banale e mercantile, ovvero quella turistico-commerciale (dal 2018 ad oggi ci risulta che poco o nulla sia cambiato sull’asse di via Jervis, né che si siano insediate nuove attività significative).
Una coalizione di destra che, mentre la città impoverisce e invecchia, mentre Ivrea perde sempre più il ruolo di riferimento per il territorio, mentre procede a passi da gigante il “ridimensionamento” del suo rango urbano, ha visto via via crescere al suo interno personalismi e litigiosità, coperte all’esterno da un’arroganza senza precedenti (vedi l’approccio sullo ZAC, l’incomprensibile fretta di approvare il Piano Regolatore e lo scarso coinvolgimento cittadino sul Polo Culturale).
Così, a differenza della tradizione italica che vuole le destre, magari litigiose, ma alla fine unite nelle scadenze elettorali, la coalizione eporediese si è invece sfaldata.
Formalmente la tradizione è rispettata per quanto riguarda Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia che, con un accordo tra segreterie provinciali, candidano a Sindaco di Ivrea un improbabile giovane monarchico, tale Andrea Cantoni da Borgofranco. Un personaggio imposto dal federale di FdI, Fabrizio Bertot (al quale spettava l’indicazione del candidato sindaco di Ivrea in base alla spartizione tra i tre partiti dei Comuni al voto sopra i 15mila abitanti) che ha lasciato però un po’ di stucco le sedi cittadine, in particolare quella di Forza Italia (con il segretario dimissionario e la vicesindaco Piccoli, che aspirava alla candidatura, in gran confusione).
“Persi per persi, meglio perversi”, avrà pensato Bertot tirando fuori dal cappello Cantoni? “Propongo un reazionario bislacco come sindaco della spocchiosa Ivrea e, se arriva al ballottaggio, avrò dimostrato che FdI è talmente forte che, come Caligola, può fare senatore anche il suo cavallo. Se al ballottaggio arriva invece Sertoli (che avremmo dovuto candidare con tutta la coalizione per avere qualche possibilità di vincere) potrò sempre chiedergli l’apparentamento”, sarà stato questo il ragionamento del Bertot?
Fatto sta che, al di là della formale esibizione di unità delle destre, la coalizione che ha amministrato Ivrea in questi cinque anni, arriva divisa all’appuntamento elettorale.
Come è noto, il sindaco Sertoli, sentita l’aria che tirava, ha scelto da tempo di candidarsi con una sua lista civica e ha trovato il sostegno del Partito Liberale Italiano (PLI) di Diego Borla e quello dei “calenziani” Massimiliano De Stefano (ex Moderati) e Paolo Bertolino per «dare continuità a quanto fin qui realizzato dall’attuale Amministrazione».
Sertoli si ritrova così di nuovo con quel Paolo Bertolino (all’epoca del PD) a fianco del quale, “a titolo personale”, marciò nel giugno 2019 a San Bernardo, dove un tabaccaio aveva ucciso un giovane scassinatore, non per manifestare lo sgomento e il dolore di una comunità per una tragedia avvenuta nel proprio territorio, ma la “solidarietà” nei confronti dell’omicida, solidarietà ovviamente condivisa su twitter dagli immancabili Salvini e Meloni. Un episodio che mise in mostra il più basso livello di civiltà espresso nella nostra città.
Oltre alla coalizione del “campo progressista” guidata da Matteo Chiantore e alle due destre di Andrea Cantoni e Stefano Sertoli, alle elezioni comunali di Ivrea parteciperà anche la lista di Unione Popolare che candida a Sindaca Cadigia Perini. Una scelta che viene spiegata come «un atto doveroso di partecipazione democratica», anche se «avremmo voluto riuscire a coinvolgere nel nostro progetto alternativo ai due poli anche altre liste. Non ci siamo riusciti. Potevamo rinunciare, ma abbiamo deciso comunque di esserci».
UP, infatti, si presenta come «alternativa naturalmente al centro-destra, ma anche – almeno nella prima fase elettorale – al centro-sinistra, dal quale ci dividono radicalmente importanti temi nazionali, a partire dalle politiche del lavoro, della sanità e e della scuola pubblica, e tema più attuale quello dell’aumento delle spese militari e dell’invio di armi nei teatri di guerra».
Non riuscito il tentativo di costruire un polo alternativo, resta il dubbio sul senso di una partecipazione in solitaria alle elezioni che rischia di essere, ancora una volta, di pura testimonianza. Tanto più che, fuori dal terreno elettorale (che ha sue dinamiche specifiche), sul piano sociale qualcosa si muove anche nel nostro territorio (vedi le recenti iniziative su sanità, energia, guerra promosse anche da nuovi gruppi vicini a UP).
(E resta il danno, per questo giornale, della sospensione dell’attività di una valida redattrice, qual è Cadigia Perini).
Ora la campagna elettorale ha preso il via e ci sarà occasione per entrare nel merito e per meglio definire il quadro.
Intanto, al di là dei risultati che saranno ovviamente influenzati (quanto e come lo vedremo) dagli orientamenti politici nazionali, è evidente che le destre locali hanno perso un’opportunità storica per far crescere una loro classe dirigente. Salvo le passerelle degli assessori e la fugace notorietà che queste determinano, localmente non c’è alcun politico di destra che sia emerso e la conclusione ingloriosa e confusa dell’esperienza amministrativa ne è la conferma definitiva.
Su queste pagine abbiamo, poi, già avuto modo un mese fa di segnalare il rischio di una “tranquilla supponenza” di fronte alle divisioni e all’inconsistenza delle destre locali. Un errore commesso dal PD nel 2018 che sembra sia servito di lezione, ma che è bene tenere ancora ben presente. Come è bene tener presente che, con o senza Elly Schlein, il PD è ancora percepito dai ceti deboli come il partito della finanza europea e, da un anno a questa parte, anche della guerra.
Ma c’è un altro rischio nel caso di ritorno del PD alla guida della città: quello che questi ultimi cinque anni siano archiviati come una spiacevole parentesi e “tutto torni come prima”. Ignorando, cioè, che le cause profonde di quella sconfitta del 2018 sono ancora vive e presenti: dalla povertà sempre crescente al dramma del mondo del lavoro mal difeso e quasi per nulla rappresentato dalla politica locale, senza considerare la distanza che a lungo ha connotato le amministrazioni piddine tra amministratori (“che sanno”) e cittadini (“che non capiscono”).
Sarebbe fatale per qualsiasi possibilità di attivazione delle forze necessarie per favorire la crescita di quella comunità aperta, accogliente, vivace, democratica, antifascista, solidale, capace di guardare oltre la sua dimensione demografica e la sua “cinta daziaria”. E capace di “rammendare” gli strappi determinati dalle peggiorate condizioni sociali, dalla disumanità cresciuta ed elargita, dal divario culturale e materiale crescente.
Andrea Bertolino e ƒz