Un intervento nel corso dell’ultimo Presidio per la Pace a Ivrea
Più che mai in questo periodo in cui è in corso una guerra in Europa, sentiamo la necessità di un’educazione alla pace soprattutto per le giovani generazioni.
In realtà almeno a parole, l’ educazione alla pace così come tante altre educazioni, quella al rispetto dell’ ambiente per esempio, sono già presenti nella scuola primaria di primo grado e nella secondaria di primo grado ( le elementari e le medie, per intenderci) dove l’ ultimo ministro ha previsto un potenziamento e una trasversalità dell’ educazione civica.
L’ idea è quella che l’ educazione civica appartenga a tutte le materie e quindi a tutti gli insegnanti che se ne dovrebbero fare carico coordinandosi fra loro. Preferisco non immaginare la quantità di progetti, relazioni, inserimento nel piano dell’ offerta formativa (il POF) che è diventato PTOF (piano dell’ offerta formativa triennale). Nasceranno di certo commissioni, e relative figure di riferimento (gli insegnanti di lettere, presumo).
Quello di cui sono certa è che nessuno potrà mai dire che la guerra è buona, la pace cattiva, che qualcuno può essere a favore della guerra, così come del riscaldamento globale o dello sperpero delle risorse. Prevarrà il politicamente corretto: la pace è cosa buona e giusta, non lo è la guerra, in nessun caso, anche se basterà che i ragazzi accendano la televisione per sentirsi urlare il contrario, in dibattiti feroci, che occupano ore e ore, intere giornate e intere serate, e non spiegano niente.
Che cosa non spiegano ad esempio? La mia maestra, che era nata nel l903, e che era ormai alla fine della sua lunga carriera, durata più di quarant’ anni, ci diceva sempre che le guerre hanno due tipi di cause: quelle “prossime”, che raccontano i mesi o addirittura i giorni che hanno preceduto lo scoppio di una guerra, e quelle “remote” che spiegano perché qualcuno, o molti, hanno voluto una guerra, a chi poteva giovare, chi ne traeva profitto, chi aveva ideali che lo spingevano alla guerra, chi ne ha sofferto, chi l’ha subita senza volerla, chi ne è stato travolto.
Niente di tutto questo nei nostri media. Ma pensando ai ragazzi che frequentano le elementari e le medie, pensando alla loro giovane età, mi sto domandando se “spiegare” la guerra, o forse sarebbe meglio dire le guerre, le infinite guerre che compongono purtroppo la storia dell’ umanità possa bastare. Più giusto e più efficace secondo me è invece “entrare” nella guerra, viverla, attraverso gli occhi e le parole di chi l’ha vista o semplicemente l’ha raccontata.
E questo lo si può fare soltanto attraverso la lettura: una lettura distesa, condivisa, non soltanto di qualche poesia, o di pochi brani spezzettati, ma di interi libri, scritti ovviamente per loro, tenendo conto della loro età, che parlino di guerre antiche o di guerre più recenti, consentendo ai giovani lettori di partecipare emotivamente, con la mente e con il cuore, di interrogarsi su quale sia la parte giusta, quale quella sbagliata, nella complessità però del reale, che non è mai così netto, che riconosce anche le ragioni dell’ altro, se ce ne sono, o perlomeno lo smarrimento, la paura, la debolezza, la difficoltà di scegliere quando si è travolti dagli eventi.
Si può, si deve entrare nell’ orrore, nel dolore, ma anche nella generosità e nel coraggio. In una parola, si scende nel cuore dell’ uomo, nella sua profondità, nei suoi abissi, e ci si immedesima. Soltanto così, si può veramente capire.
La scuola italiana ha sempre letto pochi libri, ora non ne legge più, o quasi. Non è vero, credo, che ragazzi
italiani siano i meno preparati d’ Europa: le loro esperienze di studio all’ estero dicono spesso il contrario. E’ vero però che la scuola italiana non si pone come obiettivo la diffusione e l’ amore per la lettura, non lo ha fatto da quando è stata fondata dopo l’ unità d’ Italia, e non lo fa ora, salvo il periodo abbastanza breve in cui il centro- sinistra, creando la scuola media unica, ha introdotto l’ ora di narrativa, che adesso è scomparsa. Perché? Forse perché c’è sempre qualcosa di più importante da fare, e c’è sempre stato: la lotta ai dialetti, la correttezza ortografica e grammaticale, e poi la didattica per obiettivi, le competenze e le abilità, la scuola senza libri, la “classe ”, le prove INVALSI….
Tutte cose più serie: e se di serietà si tratta non posso fare a meno di ricordare che alla fine dell’ Ottocento un ministro della pubblica istruzione con apposita circolare ha sconsigliato caldamente la lettura di Pinocchio a scuola, perché il libro, così piacevole, toglieva serietà all’ insegnamento. In un’ Italia piena di analfabeti, il ministro della pubblica istruzione si preoccupava di non far amare la lettura.
E adesso, di fronte a una generazione travolta da un mare di informazioni cui è difficile dare un senso, in un universo ipermedializzato,in questo immenso “blob”, senza inizio né fine, si nega l’accesso alle storie compiute, con un inizio, un prosieguo, una fine, e si nega anche l’ atto di estrema libertà che è leggere, l’ atto di volontà di proseguire, parola dopo parola, pagina dopo pagina, ripiegati su se stessi tanto da dimenticare almeno per un po’ quello che ci sta attorno, e nello stesso tempo aperti al mondo, passato, presente e anche futuro.
Mariella Ottino