Come la mafia si è radicata in Piemonte e come associazioni come Libera, anche sul territorio canavesano, operino quotidianamente per tenere alta l’attenzione pubblica sul fenomeno. Libera Ivrea e Canavese: “La condizione necessaria perché la mafia possa essere sconfitta è il riconoscimento e del problema e del fenomeno, e la distruzione dei presupposti culturali che la rendono forte“
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“Mi sento diffamato come amministratore pubblico e come cittadino e credo che tutti i torinesi provino lo stesso sentimento”. “La descrizione che emerge da questa relazione dell’Antimafia è gravissima e danneggia l’immagine della pubblica amministrazione”. “Voglio approfondire, capire bene il dettaglio delle denunce per verificare quanto c’è di vero e quanto fa parte della verità o di una ricostruzione, non dico fantasiosa, ma poco legata con la realtà”.
Era il 2008 e queste erano le dichiarazioni di stupore dell’allora classe dirigente piemontese, in risposta alla relazione antimafia della commissione parlamentare presieduta da Forgione, che per la prima volta affrontava il tema del radicamento della mafia in Piemonte. Accuse di diffamazione, sopravvalutazione del fenomeno e approccio negazionista.
Eppure, anche se purtroppo è una storia rimossa dalla memoria comune, già nel 1983 a Torino venne ucciso Bruno Caccia, procuratore capo della Repubblica di Torino, unico e insolito omicidio eccellente per mano di ‘ndrangheta nel Nord Italia, perché metteva i bastoni tra le ruote agli affari criminali della mafia e al mondo di connivenza che la sosteneva. Oggi lo ricorda solo il nome del Palazzo di Giustizia e una Cascina Confiscata a San Sebastiano da Po.
Nel 1994 a Borgaro furono sequestrati oltre 5 tonnellate di cocaina, all’epoca il maggiore mai avvenuto in Europa, e poi nel 1995 a Bardonecchia il consiglio comunale venne sciolto per infiltrazione mafiosa e il comune commissariato.
E nel 2006 Libera, l’associazione antimafia nata nel 1995 dalle mobilitazioni dopo le stragi del 1992-1993, sceglie di celebrare la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime Innocenti di Mafia, il 21 marzo, proprio a Torino, con una scelta controcorrente che voleva smontare la credenza che mafia e corruzione fossero solo un problema del Sud.
Dall’8 giugno 2011 in poi, dall’operazione Minotauro – con il commissariamento di Leinì e Rivarolo Canavese, 150 persone arrestate, beni sotto sequestro per oltre 117 milioni di euro, 9 locali di ‘Ndrangheta individuate – ci hanno pensato diverse inchieste a rivelare le realtà in modo incontrovertibile: la mafia in Piemonte c’è, è ben radicata, e si appoggia a una fitta rete di connivenze e complicità dal mondo della politica e a quello dell’imprenditoria e dei colletti bianchi, facendosi forte di una sottovalutazione generale e di una cultura dell’omertà diffusa a tutti i livelli. Una ventina di “locali” (gruppi locali con almeno 49 affiliati) di ndrangheta in Piemonte, di cui 9 in provincia di Torino: tra questi Cuorgné, San Giusto Canavese, Volpiano, Chivasso, con una ‘ndrina distaccata anche a Salassa. Dal 2011 sono stati moltissime le operazioni Maglio / Albachiara. Colpo di Coda, Esilio, San Michele, Hunters, Big Bang, Barbarossa, Alchemia, Arka di Noé, Alto Piemnte, Carminius,Cerbero,.. segno che la ‘ndrangheta è forte, ma anche che forze dell’ordine e magistratura stanno lavorando bene.
Ma oltre all’azione repressiva è chiaro che il problema è ben più profondo e serve una riflessione più ampia. Se è vero che la mafia al nord ha un aspetto ben diverso da quella che conosciamo dai film e dalle immagini dei telegiornali, si dice che sia più silenziosa e meno evidente, l’altra scomoda verità è che l’azione criminale mafiosa si diffonde con più forza dove c’è un contesto fertile, una società pronta ad accoglierla, dove è segretamente ricercata da soggetti politici ed economici, ma pubblicamente negata o ignorata. Proprio per questo nasce Libera: per mettere in rete tutte quelle persone e realtà della società civile che con la loro azione si oppongono alle ingiustizie create da mafia e corruzione, e provano insieme a presidiare un territorio e alcuni temi. A Ivrea dal 2008 esiste un presidio di Libera dedicato a Domenico Noviello, vittima di racket ucciso dalla camorra, e dopo le ultime inchieste sono nati altri due gruppi locali a Cuorgné e a San Giorgio Canavese, dedicati a Luigi Ioculano e Accursio Miraglia. In questi anni si sono occupati di tenere alta l’attenzione sul tema di mafia e antimafia, con dibattiti, cene, manifestazioni, presentazioni di libri, incontri nelle scuole di ogni ordine e grado e sensibilizzazione istituzionale, a partire da vari temi: dalle agro ed ecomafie e caporalato, alla corruzione, dal gioco d’azzardo alla memoria delle vittime innocenti di mafia, dalla protezione dei testimoni di giustizia ai beni confiscati.
L’ultimo caso eclatante di cui si è occupata anche Libera ha a che fare con una villa confiscata a San Giusto Canavese a Nicola Assisi, ‘ndranghetista e tra i più potenti narcotrafficanti a livello mondiale. Confiscata nel 2011, e liberata solo nel marzo 2018, è sotto i riflettori il 30 aprile, quando lì si svolge una manifestazione per ricordare Pio La Torre, sindacalista e parlamentare antimafia ucciso nel 1982, a cui si deve la paternità del 416 bis, legge che riconosce il reato di mafia. Qualche settimana dopo, nel giugno 2018 la villa è vittima di un tentativo di attentato esplosivo, attraverso due bombole di gas immerse in combustibile, che però non va a buon fine. La villa rimane comunque in pessime condizioni, affumicata e con gli impianti guasti e rimane inutilizzata a rappresentare l’intimidazione mafiosa in una delle sue più alte forme. Mai niente di simile era successo nel nord Italia, e il Piemonte ancora una volta a ottenere un primato negativo. Da quel momento Libera si incarica di tenere accesi i riflettori, a dimostrazione del fatto che si tratta di un problema non solo delle forze dell’ordine e delle istituzioni, ma che è simbolo di un conflitto per tutti i cittadini: viene organizzato un presidio h.24 nel cortile della villa per due settimane durante l’estate, in cui tantissimi giovani si alternano per rappresentare la loro presenza. Si organizzano diverse altre iniziative nel corso dell’anno, per continuare a sollecitare le istituzioni affinché la villa sia sistemata e restituita alla collettività.
Finalmente nel luglio 2019 qualcosa sembra sbloccarsi e ad agosto si tiene proprio alla villa la Conferenza di Servizi a cui partecipano il presidente della Regione Piemonte Cirio, la presidente della Città Metropolitana Chiara Appendino, il Prefetto Claudio Palomba, l’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati e molte altre istituzioni, oltre al presidente di Libera Luigi Ciotti. In questa sede si decide che la villa sarà la Città Metropolitana a intestarsi l’assegnazione del bene, mentre la Regione Piemonte metterà a disposizione le risorse economiche per la sua sistemazione. Il bando viene pubblicato nell’autunno del 2019 e ben tre realtà partecipano con delle manifestazioni di interesse attraverso progetti di riutilizzo a scopo sociale. Libera non ha partecipato, perché non gestisce direttamente beni confiscati, ma ha creato anche in questo contesto occasioni di informazione e sensibilizzazione. Ancora dobbiamo sapere cosa sarà deciso, ma si spera che possa diventare luogo simbolo della vittoria dello stato e dei suoi cittadini, come lo sono molti altri beni confiscati in tutta Italia.
Nonostante molti passi avanti si siano fatti, e nonostante tutte le azioni di forze dell’ordine e della magistratura, è evidente che molto è ancora da fare, soprattutto nella formazione culturale dei cittadini e in particolare della classe dirigente politica ed economica nel nostro territorio. La condizione necessaria perché la mafia possa essere sconfitta è il riconoscimento e del problema e del fenomeno, e la distruzione dei presupposti culturali che la rendono forte.
Quanto è servito il lavoro di Libera in questi anni? Dall’inchiesta Libera Idee del 2017, svolta a livello nazionale e anche nel Canavese, emerge che anche sul nostro territorio si riconosca ormai che la mafia è un fenomeno globale, non relegato al sud Italia, e che sia un fenomeno che priva i cittadini di libertà e giustizia. Se questo è positivo, è da tenere presente che la mafia oltre a essere globale, è contemporaneamente un fenomeno molto “locale”, e che oltre a togliere libertà e giustizia ha delle conseguenze molto specifiche e concrete ad esempio sul mondo del lavoro, della salute, della tutela ambientale, aspetti che invece dalle risposte paiono molto sottovalutati. Quanto la mafia tocchi davvero la vita di ciascuno è ancora il fronte da presidiare, per sottolineare che parlare di mafia e corruzione non è diffamare la reputazione un paese e i suoi cittadini, ma avere a cuore il loro presente e il loro futuro.
Ramona Boglino