Molto seguito il convegno realizzato ad Azeglio. La mostra prosegue fino al 15 novembre
“Un convegno memorabile: due giorni emozionanti con relatori provenienti da Roma, Trieste, Torino, Valle d’Aosta, Piemonte e Slovenia che hanno trovato, come tutti noi, una straordinaria accoglienza al castello d’Harcourt di Azeglio e un pubblico superiore alle attese affezionato alla storia” affermano gli organizzatori Fabrizio Dassano, Elisa Benedetto e Dario Zara del convegno “La Conservazione della memoria lontano dai campi di battaglia”. I lavori sono iniziati sabato 3 novembre alle 10:00 del mattino con Fabrizio Dassano che ha introdotto i saluti istituzionali di Comune, Istituti scolastici, Artev e della proprietà del castello d’Harcourt di Azeglio.
Nel primo seguitissimo intervento Gianni Oliva, storico ed ex assessore alla cultura della Regione Piemonte, ha tracciato le linee essenziali che caratterizzarono quel conflitto, il primo spaventoso in termini di numeri di morti, ricordando il valore dell’interpretazione storica e della coltivazione di una memoria collettiva d’Europa, perché da quella catastrofe nacque l’opinione pubblica: nel bene e nel male, anche nei nazionalismi che presero piede democraticamente dopo la prima guerra mondiale. Ha sottolineato inoltre l’importanza storica e la bellezza del castello d’Harcourt, sede del convegno, ricordando la celebre frase attribuita a Massimo d’Azeglio “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani!” e quando nel 1831 in quel luogo, in compagnia della giovane moglie Giulia (la figlia di Alessandro Manzoni), scriveva l’Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta per dare un’epica ad un’Italia non ancora unita.
Subito dopo ha preso la parola lo storico locale di Borgofranco d’Ivrea, Michele Righino del’Associazione culturale “Mario Clemente” che ha raccontato la sua ultima ricerca, pubblicata anche nel libro: “1915 – 1918 La Cheddite. La fabbrica di bombe a Borgofranco” in cui il fronte interno è stato descritto sottolineando la riconversione industriale alla guerra degli impianti e la triste condizione degli operai militarizzati, spesso anche, come nel caso di Borgofranco, di donne e minorenni. Molti operai e operaie morirono nei numerosi incidenti causati dalle esplosioni accidentali, come il nonno dell’autore, di nome Michele Righino e il fratello del poeta Giovanni Cena. Ha anche spiegato come queste notizie vennero soffocate dalla censura, con il rischio di perderne la dimensione umana e storica. In chiusura Piera Veneri ha letto una toccante testimonianza coeva della madre di Giovanni Paino, Caterina che descriveva ai figli la dura condizione di vita nella fabbrica.
Atteso l’intervento dello sloveno Želiko Cimprič che ha raccontato come, con altri amici, dopo la caduta del regime jugoslavo, era finalmente giunto il momento di costruire un museo divenuto prestissimo di fama mondiale, a Caporetto, oggi Kobarid. Territorio perduto dall’Italia per gli esiti della successiva guerra mussoliniana, il regime comunista jugoslavo vietava agli sloveni qualsiasi forma di ricordo alla Grande Guerra perché l’unica guerra da ricordare era quella patriottica condotta dall’Esercito di Liberazione Jugoslavo contro italiani e i tedeschi tra il 1943 e il 1945. Caporetto, posto in una vallata di grande interesse turistico è anche un centro della “Via della Pace” (Pot Miru) che ripercorre in quel tratto trincee e cimiteri isontine. Želiko ha ricordato come la storia, la natura e la volontà della gente, abbiano contribuito alla rinascita culturale ed economica della zona.
Nella seconda sessione dopo la pausa pranzo, molto atteso l’intervento dello storico e consulente museale, scrittore di fama internazionale sulla Grande Guerra, il triestino Lucio Fabi che rappresenta un’intera generazione di persone che hanno reso un fondamentale apporto professionale alla conservazione e diffusione della memoria e dell’ambiente della Grande Guerra. Lo scrittore con numerosissime pubblicazioni all’attivo, oltre cento titoli, si è occupato di immagine con il suo intervento “Visioni di guerra: cinema e fotografia tra storia e propaganda”. Intervento che è stato corredato anche dalla proiezione di un frammento del documentario curato dallo stesso Fabi con Gianpaolo Penco costruito montando le pellicole girate dagli operatori dei servizi cinematografici degli eserciti in lotta sul fronte italo-austriaco del 1915-’18. L’intento è stato quello di offrire una visione comparata dei “film dal vero” prodotti dall’industria cinematografica delle nazioni contrapposte e alla percezione degli avvenimenti che avevano i protagonisti coinvolti. Diari e memorie scritte di soldati e civili ripresi dagli operatori dei due eserciti come fonte fondamentale per la ricerca.
Ha preso poi la parola lo storico Franco Macchieraldo, biellese, che ha presentato il suo ultimo lavoro di ricerca, sempre riguardo il fronte interno: se la guerra fu la mobilitazione di oltre 5 milioni di italiani, questi soldati oltreché armati e addestrati andavano vestiti. Macchieraldo ha parlato infatti di “Vestire la guerra, la Pettinatura Italiana di Vigliano Biellese, altro stabilimento militarizzato che rappresentò un’opportunità di lavoro e che da solo arrivò all’85% della produzione delle uniformi del regio esercito per mantenere il rispetto delle specifiche di colore grigio-verde richiesta dalle ordinanze. Uno spaccato di vita operaia e sociale che ha conquistato il pubblico.
Il regista televisivo Stefano Viaggio di Aosta ha poi raccontato gli anni di guerra descritti da Margherita del Nero nelle lettere inviate al marito Giuseppe Mizzoni al fronte, lettere spedite da Veroli, un paese della Ciociaria. Una testimonianza struggente di una donna che descrive l’agonia e la morte del proprio figlio, senza che il padre al fronte riesca ad ottenere una licenza. Margherita sopravviverà di poco alla guerra perché sarà vittima della febbre spagnola. Una testimonianza familiare poiché Margherita del Nero era la nonna del relatore.
Ha poi chiuso la sessione di sabato 3 novembre l’esilarante e applauditissimo intervento dello storico Michele D’Andrea di Roma, accompagnato per l’occasione alla chitarra da Paolo Bersano che ha eseguito una conferenza-spettacolo dal titolo “Palle girate e altre storie: dietro le quinte della Grande Guerra”. Fatti dell’epoca realmente accaduti e resi nella versione più ironica del paradosso della censura militare, delle regole disciplinari, della vita in trincea, del combattimento fino ai modi di dire sopravvissuti oggi nel parlato quotidiano che risalgono a consuetudini nate in trincea, passando attraverso irriverenti stornelli romani che nacquero spontanei tra i soldati di quella città per sfidare l’autorità.
La serata è poi proseguita ad Ivrea presso una sala Santa Marta gremita di pubblico, dove hanno preso la parola Lucio Fabi, Fabrizio Dassano e Elisa Benedetto con il presidente dell’Associazione di Storia e Arte Canavesana, Tiziano Passera, nella presentazione del volume “Bernardo Perazzone, un fotografo eporediese nella Grande Guerra”. Un grosso sforzo editoriale per riprodurre e inquadrare storicamente parte del grande fondo fotografico regalato alla città di Ivrea da Perazzone poco prima di morire. Le spiegazioni sono state intervallate dal coro di Amerigo Vigliermo con suggestive canzoni della Grande Guerra, edite anche in cd per il centenario della Grande Guerra.
Domenica 4 novembre si sono riaperte le porte del castello per l’ultima sessione del convegno alle 14:30 per lasciare spazio alle funzioni civili e religiose del mattino con le rappresentanze militari e civili e la santa messa con il Te Deum cantato da Paolo Bersano, maestro del coro della Cattedrale di Ivrea, canto che spontaneamente venne eseguito 100 anni prima nelle chiese italiane per la fine della guerra. Alla sessione, condotta da Elisa Benedetto, ha parlato Alida Caligaris di Aosta, di origini canavesane, studiosa e collezionista, autrice di un prestito importante alla mostra “L’Ultima fronte 1918 – 2018” aperta in contemporanea presso l’oratorio di Sant’Anna. Il suo intervento ha spaziato sulle esigenze dei soldati di ingannare la frustrazione del far nulla in trincea, attendendo un tragico ordine d’attacco, lavorando i metalli “di morte” come le ghiere di forzamento in rame delle granate di ghisa e acciaio, i bossoli di ottone e tutto quel materiale bellico della prima guerra industriale, rendendoli oggetti d’uso civile: accendini, tagliacarte, fermacarte, calamai, portafotografie etc. Non solo cimeli ma autentiche testimonianze della vita in trincea. L’intervento è stato accompagnato da un documentario sugli oggetti presenti alla mostra di Azeglio realizzato da Stefano Viaggio.
Elisa Benedetto ha poi introdotto lo scrittore e alpinista torinese Enrico Camanni che con 36 volumi sulla montagna rappresenta uno scrittore attento al particolare e straordinario luogo geografico. Ha trascinato così il pubblico nella narrazione delle fatiche della guerra in alta quota, la cosiddetta “guerra bianca”, le temperature polari e i rifugi sotto la neve, la fratellanza che nasceva tra gli uomini (anche tra “nemici”) quando la natura era l’essere assolutamente superiore alle forze dell’uomo. Un ritratto che si è concluso con un richiamo alla solenne commemorazione con il presidente della Repubblica a Trieste, ad Azeglio (trasmesso in diretta dal 2° canale della RAI) dove lo scrittore ha parlato di “occasione perduta” per la politica europea: poteva da Trieste ripartire una nuova idea d’Europa.
Nell’intervallo che è seguito si è esibito, nella medesima sala, il coro Academia Cantus diretto da Benedetta Simoni, intervento musicale molto apprezzato ed applaudito.
Ha poi preso la parola Roger Jouglar, studioso di aeronautica e conservatore del Museo del bombardamento di Pont Saint-Martin, con un interessante carrellata di notizie e di immagini dei piloti della Valle d’Aosta nella Grande Guerra e il musicista Arturo Sacchetti con una guida all’ascolto critico delle canzoni più famose della Grande Guerra. Interventi molto seguiti dal pubblico, con una nutrita rappresentanza di docenti delle scuole di ogni ordine e grado, che nelle due giornate dei lavori ha seguito i lavori nella prestigiosa Sala del Biliardo del castello d’Harcourt di Azeglio, il cui Erbaluce prodotto nei vigneti del castello è stato omaggiato ai convegnisti.
a cura di Fabrizio Dassano