“Crisi dopo crisi un altro mondo è possibile”: non solo possibile ma necessario.
Lo striscione che apre il corteo del Climate Global Strike a Torino ben rappresenta il diritto al futuro che i Fridays for Future rivendicano. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza venerdì 3 marzo in tutto il mondo per manifestare per la giustizia climatica, esigendo dai loro governi politiche concrete, efficaci e rapide per contrastare la crisi ambientale.
Il 2022 è stato segnato da fenomeni metereologici estremi in tutto il mondo, e in Piemonte abbiamo vissuto una delle estati di siccità più intensa da quando si registrano i dati: da alcuni è stato definito l’anno che ci proietta alle soglie dell’irreversibilità. Per rispettare l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5°C posto dagli Accordi di Parigi del 2015 le emissioni di gas serra devono essere ridotte del 45% nei prossimi sette anni , e ne va non tanto della sopravvivenza del pianeta, quanto della nostra. Ma nonostante le evidenze scientifiche schiaccianti degli ultimi trent’anni si continua ad assistere ad una sostanziale inazione dei governi e degli organismi internazionali.
Dal 2019, anno di nascita di Fridays for Future, sono cambiate molte cose: la pandemia, la guerra, ma purtroppo non le richieste del movimento, perché ancora inascoltate. Ma è anche cambiato qualcosa nel movimento stesso, nelle piazze che raccoglie, di sicuro a Torino ma anche nel resto d’Europa e del mondo. C’è infatti stata un’evoluzione molto visibile nell’approccio, nella narrazione e nelle richieste specifiche. La richiesta di cambiamento non è solo più “per il pianeta”, ma per l’umanità, per le persone che lo vivono, con istanze intersezionali e condivise con molti altri movimenti e realtà, senza mai scollegare la giustizia climatica da quella sociale, di classe, etnia, genere.
La consapevolezza maturata negli anni è duplice: da un lato ci si è scontrati con l’indifferenza della maggior parte della popolazione (e della politica), portando a interrogarsi sul bisogno di costruire il senso di urgenza davanti alle conseguenze della crisi, così poco raccontate dai media e così poco percepite come reali e concrete. Questo è stato fatto immaginando e raccontando non solo il futuro drammatico che ci si prospetta, ma anche l’altro mondo possibile, desiderabile, più felice. D’altro canto, c’è stato uno sviluppo forte nell’interpretare la crisi climatica come una delle tante diramazioni dello stesso sistema capitalistico, guidato dal consumo, dal mito della crescita, dallo sfruttamento dell’ambiente e delle persone, fonte di disuguaglianze multiple in continuo aumento, a partire da quella della ricchezza.
Questa intersezionalità che ha arricchito l’impianto narrativo e teorico del movimento si rispecchia nelle sue manifestazioni. In piazza infatti venerdì scorso c’erano più di 8000 persone: non solo i Fridays, ma anche Extinction Rebellion, Legambiente, Non Una Di Meno, la Future Parade, il movimento NoTav, i sindacati, i comitati cittadini a difesa degli spazi verdi, i collettivi delle scuole e tanti e tante altre ancora. Tante realtà diverse che hanno marciato insieme, così come lo rifaranno mercoledì 8 marzo per lo sciopero in occasione della Giornata Internazionale della Donna, alla fine di cinque giorni di mobilitazione ecotransfemminista frutto della collaborazione tra Fridays e Non Una di Meno. Torino in questo senso si dimostra un laboratorio politico per la convergenza delle tante lotte di piazza che animano le giovani generazioni e non solo, soprattutto davanti a una politica istituzionale che così tanto fatica nel rispondere a queste istanze.
Tutto questo si vede non solo dagli striscioni e dai cartelli dei manifestanti (“Destroy the patriarchy, not the planet” uno tra i tanti), ma anche si sente dai tanti e diversi interventi dalla testa del corteo, e si realizza nelle numerose azioni dimostrative che intervallano la marcia con richieste puntuali.
Si critica la Regione Piemonte per l’inattività nel contrasto alla crisi climatica, ricordando che per ottenere un Consiglio Regionale aperto, poi animato da interventi negazionisti, era servito un anno fa lo sciopero della fame di Ruggero Reina, attivista di Extinction Rebellion. Sulla strada davanti al Politecnico si traccia la scritta “Università della guerra”, denunciando gli accordi Frontex stretti con la Leonardo. Si parla degli extraprofitti di IREN ed Eni, delle occupazioni studentesche di questi mesi, della repressione del dissenso, e ci si ferma in silenzio per alcuni minuti in ricordo di tutte le vittime di ogni violenza di questo sistema. In Piazza Solferino Extinction Rebellion colora di rosso l’acqua della fontana (con semplice e non inquinante polvere di barbabietola), e le attiviste sono sirene ferite a morte sdraiate sul bordo: “Acqua per tutte o champagne per qualcuno?”, un grido di allarme e dolore davanti alla siccità che questo inverno senza precipitazioni evoca per l’estate del Nord Italia. Il corteo termina ai giardini La Marmora, davanti al Palazzo di Giustizia, che rischiano di sparire per fare posto all’ennesimo supermercato Esselunga, continuando a cementificare gli spazi verdi superstiti in città.
Insomma, pensare globale e agire locale, con conoscenza e competenza, collaborando con le tante realtà che seguono e approfondiscono le questioni specifiche, presidiandone le istanze. E a Ivrea?
A Ivrea esiste un gruppo di Fridays for Future (attivo su Instagram @fridaysforfuture_ivrea), che però come in tante altre città di provincia patisce la difficoltà nell’aggregare persone (soprattutto giovani, trascinati altrove dalle loro scelte di vita) e nell’organizzare eventi capaci di attirare e scuotere l’opinione pubblica. La mobilitazione fuori dalle grandi città è e deve essere un grosso tema di riflessione per il movimento: a Torino nei prossimi mesi aprirà la prima sede fisica di Fridays for Future in tutta Italia, ma è chiara la necessità di “uscire dalla bolla”, di rendere quanto più possibile presente, capillare e visibile la lotta per la giustizia climatica in tutte le sue declinazioni, dal contrasto al consumo di suolo alla transizione energetica, dalla mobilità alternativa al diritto a cibo sano e sostenibile.
Soprattutto nei due mesi di campagna elettorale che aspettano la nostra città – si voterà per le amministrative il 14 e 15 maggio – è essenziale mettere la giustizia climatica al centro del dibattito pubblico e dell’agenda di governo di Ivrea: le manifestazioni, come quella di venerdì, servono in primis come strumento di pressione politica e di sensibilizzazione della cittadinanza, ed è centrale che poi il voto rifletta queste istanze e queste priorità. Serve andare oltre alle scelte personali e uscire dalla dinamica di colpevolizzazione dei singoli (che spesso tende a non considerare il costo reale che questi cambiamenti comportano per fasce diverse della popolazione) per parlare anche di responsabilizzazione, degli individui e soprattutto delle istituzioni democraticamente elette. Non c’è paragone tra l’impronta climatica dei cittadini comuni e quella delle grandi imprese o dei super ricchi, e per intervenire su questi temi è indispensabile l’azione politica. Serve richiedere con forza interventi in questa materia, fare pressione sui partiti e sulle liste che si presenteranno, valutare la fattibilità delle promesse elettorali, smascherare i tentativi di greenwashing a cui senza dubbio assisteremo in questi mesi.
Ma l’asticella in realtà è ancora più bassa di così: per rinfrescare la memoria di chi legge – e dell’amministrazione stessa, che probabilmente preferirebbe evitare di veder riemergere pubblicamente questo tema – ricordiamoci che la giunta uscente nel gennaio 2020 non ha approvato la Dichiarazione di Emergenza Climatica, proposta dal gruppo locale dei Fridays e sottoscritta da più di 1200 cittadini e cittadine. L’attuale maggioranza ha in quell’occasione dimostrato quanto fosse frammentata, visto che dopo alcuni incontri positivi con il Sindaco Sertoli, l’Assessore Balzola e il Presidente del Consiglio Comunale Borla non si è comunque arrivati all’approvazione. Durante quel Consiglio la Consigliera Bono della Lega ha fatto un intervento apertamente negazionista e profondamente in contrasto con tutti i dati che la scienza fornisce da anni, negando l’origine antropica del cambiamento climatico, e la situazione ha costretto i gruppi di minoranza a ritirare la mozione per evitare che fosse snaturata, in accordo con gli attivisti di Fridays presenti in aula quella sera.
Nel comunicato diffuso in seguito a questo Consiglio Comunale dal gruppo eporediese si leggono queste parole: “Tuttavia, nonostante la delusione per la poca serietà dell’amministrazione, non abbiamo intenzione di interrompere la nostra battaglia, in quanto si tratta del nostro futuro. Quindi, continueremo a sollecitare il Comune a instaurare un dialogo costruttivo che parta dal riconoscimento effettivo della crisi climatica di fronte alla quale ci troviamo e delle sue cause.”
La giustizia climatica è una lotta non solo di Fridays for Future ma di tutti e tutte, una battaglia di tutti i giorni, ma soprattutto in vista delle elezioni amministrative si spera di vederla riemergere, di assistere a una mobilitazione forte e di vedere tutte le forze politiche prendersi davanti alla cittadinanza degli impegni concreti per il futuro del nostro pianeta e della nostra città.
Perché se un altro mondo e un altro futuro sono possibili, è responsabilità di tutti e tutte attivarsi, impegnarsi, pretenderli.
Chiara Marcone