Fra gli indagati dalla Procura di Ivrea personale della polizia penitenziaria, medici, funzionari, ex-direttori ed educatori. Tra i reati contestati anche il 613 bis, tortura.
Aperta una nuova indagine per le violenze sui detenuti dal carcere di Ivrea. Questa volta a finire nel registro degli indagati sono ben 45 persone, tra membri della polizia penitenziaria, medici e funzionari vecchi e nuovi. Ci sono dentro persino ex-direttori ed educatori.Un dato sconfortante, che getta l’ennesima ombra sulla casa circondariale eporediese, da tempo tasto dolente per la città.
La storia, ben nota alle pagine di questo giornale, inizia 7 anni fa con la lettera del detenuto Matteo Palo denunciante un pestaggio ai danni suoi e di altri tre carcerati. La lettera, seguita a breve tempo da un’altra simile ma firmata da tutti e quattro, avrebbe fatto molto rumore accendendo la protesta dentro e fuori la casa circondariale. Da lì sarebbe partita un’investigazione che avrebbe posto sotto indagine 7 agenti.
Da allora, con i fari dell’opinione pubblica puntati addosso, la situazione nel carcere sembrava essersi tranquillizzata, ma nel mentre arriva la richiesta di archiviazione per l’indagine, respinta grazie all’opposizione dell’Associazione Antigone e alla fine avocata alla questura di Torino. Con l’arrivo della pandemia di Covid però, le attività sarebbero state sospese e l’attenzione collettiva diretta verso altri problemi: la guerra civile dei vaccini non avrebbe consentito distrazioni.
Così già nel settembre di quest’anno, escono le prime notizie su 25 persone finite nel registro degli indagati. In nemmeno due mesi diventano 45. Anche questa volta nasce tutto dalla lettera di un detenuto.
Una lettera pesante che denuncia, oltre alla rottura del braccio, una situazione di connivenza e omertà terrificanti all’interno delle carceri. Interessante in questo senso il grande numero di indagati e la presenza tra essi di medici ed educatori, un fatto insolito sul quale sarà necessario fare luce. Accusati di reati che vanno dal falso ideologico, alle lesioni, fino alla tortura, per fatti avvenuti dal 2019 fino a oggi.
L’ennesimo episodio che mette in evidenza il problema sistemico dell’abuso di potere nelle carceri italiane e che denuncia il meccanismo di insabbiamento presente al loro interno. Due giorni prima invece i giornali locali davano notizia dello stato di agitazione della polizia penitenziaria del carcere eporediese «per le violenze subite dai detenuti», e i sindacati colgono l’occasione per dire che «il reato di tortura è costruito male».
Un’interpellanza a firma Viviamo Ivrea e M5S verrà presentata nel consiglio comunale del 29 novembre per chiedere al Sindaco e all’Assessore competente di relazionare su quanto di loro conoscenza riguardo i fatti e su cosa sia stato fatto riguardo gli impegni votati all’unanimità dal Consiglio Comunale nel dicembre del 2018 e perché non si sia agito con tempestività alla luce della situazione già allora problematica.
Una questione di ben più ampia portata però si palesa: quanto possiamo fidarci delle informazioni che abbiamo sul carcere? Se compaiono decine e decine di denunce simili in tutte le carceri italiane da nord a sud, se ogni volta agli abusi seguono coperture e connivenza da parte di chi dovrebbe denunciare e si volta dall’altra parte, se all’interno delle carceri, come sostiene l’ultima lettera, i detenuti fastidiosi “vengono suicidati” (e i carcerati hanno un tasso di suicidio 18 volte maggiore del normale).
Se tutte queste cose sono vere, come possiamo fidarci dei comunicati dei sindacati di polizia, come possiamo sapere che ogni volta che un detenuto muore o si ferisce non ci sia in realtà una mano dietro? Come possiamo fidarci di un’istituzione che così sistematicamente viola le stesse leggi che ne giustificano l’esistenza?
Lorenzo Zaccagnini