Voi non siete ingegneri, noi sì

Progetto di variante del PAI, PGRA e ATIVA: tante sigle, ma un solo comune denominatore: il nodo idraulico d’Ivrea

 

Qualcuno si è più domandato che ne è stato di quindici anni di lavoro per mettere in sicurezza il “nodo idraulico d’Ivrea”? Quanti sono aggiornati sul come ci si sta muovendo, a livello locale così come a livello regionale, per far fronte ad ogni futura alluvione? Per rispondere a queste domande facciamo, però, prima un passo indietro.
Nei primi anni 2000 la Provincia di Torino commissionò due studi distinti per capire e successivamente elaborare una risposta concreta per risolvere i vari disastri legati all’esondazione del fiume Dora Baltea in caso di alluvione. Le due ricerche, rispettivamente presentate dal Politecnico di Torino e dall’Università di Trento giunsero ad alcune indicative soluzioni qui sintetizzate: 1) arginare i centri abitati, 2) modellare a dovere l’incile (il punto in cui, in caso di
alluvione, l’acqua fuoriesce) e, infine, 3) completare gli interventi di adeguamento delle infrastrutture (tra cui l’autostrada) in corrispondenza dello stesso incile. Ciò che diede forma e coerenza ai due studi fu la presa di coscienza che il territorio bagnato dalla Dora non si sarebbe dovuto trattare in maniera “frammentata”; le conclusioni dei due studi, infatti, vennero elaborate in un “sistema”, comprendente, al suo interno, anche il nodo idraulico d’Ivrea.

Uno scorcio del tratto autostradale A5

Uno scorcio del tratto autostradale A5

A partire da questi primi lavori, la Regione, nel 2001, elaborò il cosiddetto PAI (Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del bacino del Po), ovvero lo strumento giuridico con il quale disciplinare le azioni riguardanti la difesa idrogeologica del territorio. All’interno di questo “piano” confluirono e diventarono esecutive le osservazioni originate dai due studi. I lavori furono avviati, gli argini alzati e i primi interventi resi operativi.
Tutto proseguì “come da programma”, sino ad arrivare al dicembre 2015, quando ATIVA, società s.p.a. concessionaria della Torino-Aosta, costruì il megalomane ponte sul viadotto Marchetti per il quale già si sono spese sufficienti parole (mai abbastanza, comunque) e della cui presenza l’anfiteatro morenico intero potè, da allora, “beneficiare”. L’ATIVA considerò quel lavoro indispensabile per mettere in sicurezza gli automobilisti, ma ad oggi non si capisce come mai, qualche centinaio di metri dopo, venne costruito un ponte (denominato “La Puntija”) meno impattante a livello paesaggistico e in grado di sopportare la stessa portata d’acqua in caso di piena. Due ponti aventi lo stesso scopo, ma completamente diversi tra loro.
L’ATIVA, tuttavia, non si limitò a questo: presentò il suo famoso progetto di “sopraelevazione” del tratto autostradale da Pavone a Baio Dora. La cosa destò non poca preoccupazione tra i sindaci e le associazioni ambientaliste del territorio, cosa che portò inizialmente ad un incontro pubblico, ad Ivrea, nell’aprile 2015 e successivamente ad un parziale apparente ripensamento del progetto. Nell’agosto dello stesso anno, infatti, venne organizzato un tavolo tecnico tra Città Metropolitana, Aipo, Regione e ATIVA nel tentativo di capire se sarebbe stato possibile percorrere altre strade, ma già allora il vicesindaco della Città Metropolitana Alberto Avetta sentenziò: «Da un punto di vista tecnico cercheremo di individuare strade percorribili che tengano conto anche dei timori dei sindaci. Che, lo ricordo, non sono però ingegneri».
La storia non finisce qui. Facendo un piccolo passo indietro, il 22 dicembre 2014 la Giunta Regionale approvò il PGRA (Piano per la valutazione e la Gestione del Rischio Alluvioni), un documento contenente, al suo interno, alcune nuove “indicazioni” in materia alluvionale. E fu qui che la “sorpresa” venne a galla. Tra le misure legate al nodo idraulico d’Ivrea venne inserita la seguente dicitura: «Avviare la realizzazione degli interventi di adeguamento dell’autostrada già progettati da parte di ATIVA, concessionario dell’infrastruttura».
Ma come? Il PAI sopra menzionato e gli studi promossi dall'(ex)Provincia di Torino evidenziarono la necessità di adeguamento dell’autostrada solo in relazione agli interventi da operare sull’incile. Gli studi non presero in considerazione interventi radicali sull’autostrada. Com’è possibile che la Regione abbia approvato un progetto privato disgiunto dalla pianificazione originaria?
La stessa Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, in una sua recente osservazione inviata alla Regione, si dimostra preoccupata: «Riteniamo non accettabile che le problematiche dell’autostrada vengano trattate in modo disgiunto dal rimodellamento dell’incile; che su tale questione il piano non faccia riferimento all’indicazione del PAI e che in un documento pianificatorio, peraltro di fondamentale importanza per la sicurezza dei cittadini, si indichi come soluzione ad un problema un progetto di una società privata, peraltro non ancora approvato dagli Enti competenti e contestato da Enti locali del territorio».
logo_ativaL’ATIVA, ora, potrà impugnare i “suoi” progetti in quanto approvati dalla Regione. La sopraelevazione dell’autostrada A5, inizialmente non contempletata in nessun piano strategico, improvvisamente è diventata “priorità” per la messa in sicurezza da alluvioni e inondazioni e dei quindici anni di lavoro e di studio sembra essersi smarrita la traccia principale. A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi: non si sarebbe potuto affidare la messa in sicurezza del territorio direttamente ad ATIVA?
Non fosse che ad agosto ATIVA vedrà scadere la concessione autostradale; non fosse che la s.p.a. in questione, nel novembre 2015, citò in giudizio il ministero delle Infrastrutture e quello dell’Economia per ottenere altri quattordici anni di concessione (sino al 2030) evitando, in tal modo, di andare a gara pubblica come vorrebbe l’UE; non fosse anche che la Città Metropolitana ha una partecipazione del 17% in ATIVA; non fossero tutte queste cose, si sarebbe potuto pensare di lasciar fare ad ATIVA. Ma tutte queste cose ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. Qualcuno potrebbe addirittura pensare male, ma non c’è da preoccuparsene: dopo tutto, ci è stato ricordato che “non siamo tutti ingegneri”.

Andrea Bertolino | 25/05/2016