L’accordo firmato nella notte del 4 aprile tra Vodafone e sindacati permette di fatto all’azienda di licenziare lavoratori “obsoleti” e di risparmiare sulle retribuzioni grazie ai “contratti di solidarietà”.
Nel tripudio generale delle dichiarazioni delle parti, azienda e sindacati, che parlano di accordo esemplare, di “contrattazione di anticipo” come panacea di tutti i mali, la realtà, per chi vuole vederla, parla invece di licenziamenti, certo volontari e incentivati, di ammortizzatori sociali, e poi certo anche di formazione e nuove assunzioni di lavoratori freschi, giovani e tecnologici, ma soprattutto – diciamocelo – meno costosi.
Non è per essere per forza sempre critici … ed è vero che le aziende, oggi più che mai, hanno il coltello dalla parte del manico e come ti muovi ti tagli, ma un po’ di resistenza in più questa vertenza durata meno di un mese la meritava, almeno per tentare di ridurre il numero dei licenziandi. Invece ancora una volta vince Vodafone. Vince un colosso multinazionale con fatturato e utili milionari. E nessuno si chiede perché devono sempre e solo pagare i lavoratori la riorganizzazione, il mettersi al passo con le nuove tecnologie (rete 5G e trasformazione digitale nel caso specifico) e perché uno Stato deve aiutare un’azienda multimilionaria sotto il ricatto sociale che poi tanto, comunque, 570 persone il lavoro lo perderanno con le famose “uscite volontarie”. Dimenticando che volontario vuole dire “che viene fatto per libera scelta”. Mentre di certo i lavoratori che accetteranno di andarsene non lo faranno “per libera scelta”, ma perché fortemente invitati togliere il disturbo, a lasciare l’azienda che deve guadagnare sempre di più, sempre di più, … pena il loro isolamento e soprattutto il ridursi, fino all’annullamento, della buonauscita. Eppure nonostante siano previsti licenziamenti, i titoli di tutti i giornali parlano dell’accordo come di una grande conquista e di “accordo soft per i tagli al personale”. Per verità di cronaca, Il manifesto in una riga, una sola…, cerca di stare con i piedi per terra e scrive “Intendiamoci, i problemi restano e l’accordo non è certo indolore.”
Guardiamo dentro l’accordo
L’accordo si basa su quattro punti principali:
- Licenziamento di 570 dipendenti (loro dicono “mobilità volontaria e incentivata”)
- Ricorso al contratto di solidarietà per 4.870 dipendenti
- Percorsi di riqualificazione professionale per 320 dipendenti
- Assunzione di 300 dipendenti in 3 anni
I licenziamenti
Partendo dal punto più impattante per i lavoratori, l’accordo firmato in Assolombarda da SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL e dal Coordinamento RSU di Vodafone (componente COBAS inclusa), prevede l’apertura di una procedura di licenziamento collettivo per 570 lavoratori (516 Vodafone Spa e 54 Vodafone Gestioni). L’azienda, che sicuramente ha già individuato le persone da lasciare a casa, anche se dichiara che se non troverà 570 volontari non perseguirà l’obiettivo di tagliarli tutti (difficile da credere) procederà con il criterio della “non opposizione al licenziamento“. Verrà offerto, solo a chi è in azienda da almeno 3 anni, come “incentivo all’esodo” e “transazione generale” (che vuol dire che chi firma rinuncia anche ad eventuali future cause) un importo comprensivo dell’indennità di mancato preavviso a decrescere:
- 36 mensilità a chi si lascia licenziare entro giugno
- 24 mensilità a chi esce tra luglio e agosto
- 12 mensilità a chi fa resistenza e si decide ad uscire solo fra settembre e ottobre
Per chi toglie subito il disturbo (nei prossimi due mesi), l’incentivo è notevole e sarà difficile che chi verrà chiamato rinuncerà a tre anni di stipendio in cambio del licenziamento. Sono un sacco di soldi, Vodafone se lo può permettere e tre anni sembrano un lungo periodo per trovare un nuovo lavoro, ma la realtà occupazionale di certi territori, come il nostro, dà indicazioni diverse. Pensiamo ai lavoratori rimasti senza lavoro della ex Agile-Eutelia, della Telis, di tante realtà dell’orbita Olivetti ormai chiuse. I profili di questi lavoratori che non vanno più bene a Vodafone, difficilmente saranno “appetibili” nell’attuale mondo delle imprese dove si cercano lavoratori già formati esattamente come richiede in quel momento un certo processo o prodotto, giovani, flessibili e a basso costo. Nessuno scommette sull’esperienza, sulla formazione on the job (impari lavorando). Prova ne è il periodico lamentarsi delle maggiori aziende del nostro territorio perché non trovano personale esattamente collimante al loro modello ideale.
I contratti di solidarietà
La solidarità difensiva (quella pensata per salvaguardare l’occupazione in caso di crisi aziendale) coinvolgerà un alto numero di dipendenti, quasi cinquemila. La riduzione di orario sarà mediamente del 25% per i lavoratori dell’area Customer Care (operatori di call center e back office, inclusi team leader e performance leader, monitoring) dove più forte è l’esigenza aziendale di riqualificazione per il mutare delle modalità di assistenza ai clienti, la digitalizzazione di molte funzioni, la gestione del contatto con le chat, l’accesso ai servizi attraverso le app degli smartphone, ecc. La percentuale media per gli altri settori sarà molto più bassa, il 5%. La solidarietà avrà durata di un anno prorogabile per ulteriori 6 mesi.
Formazione professionale
Saranno coinvolti soprattutto gli operatori dei call center, ma anche nei settori rete, finance, consumer e sicurezza aziendale, nelle sedi di Ivrea, Padova, Bologna e Milano. Riguarderà 320 FTE (tempo pieno equivalenti), quindi un numero ben più alto (due part time fanno 1FTE). La formazione, che si rende necessaria per aggiornare “tanto le competenze attuali tanto le competenze legate ai nuovi mestieri che si rendereranno necessari per effetto della trasformazione digitale“, come scritto nell’accordo, prevede un totale di circa 4.700 giornate a partire da maggio 2019 e termine previsto nell’ottobre del 2020. La riconversione permetterà di riportare in azienda attività prima esternalizzate, anche all’estero. Operazione che risulterà conveniente fino a quando Vodafone ridurrà il costo del lavoro grazie ai contratti di solidarietà, ma al loro scadere chi garantisce che quella attività rimarrà in Italia in azienda?
Una domanda sorge spontanea: se è possibile riconvertire 320 FTE, diciamo 500 persone, quanto costava formare tutti i lavoratori dichiarati esuberi, pardon “efficienze” anziché licenziarli? Considerando anche che Vodafone mette a budget l’equivalente di 20.520 stipendi (36 mensilità x 570) potenzialmente da pagare senza avere lavoro in cambio, ma solo per liberarsi dei lavoratori. E questa cifra va aggiunta quella dei Tfr.
L’ultima parola ai lavoratori
Martedì prossimo, 9 aprile, si terranno in tutte le sedi Vodafone le assemblee dei lavoratori per illustrare l’accordo firmato e per sottoporlo al voto. L’approvazione è scontata. L’accordo ha come punto positivo un concreto piano di riconversione delle professionalità dei lavoratori e il rientro in azienda di attività delocalizzate, una cosa normale in tempi normali formare il personale in base alle esigenze, ma oggi questo passaggio è offerto in cambio della riduzione del numero di esuberi che rimane comunque molto alto, 570, scritto nero su bianco sull’accordo.
Nota a margine
Sabato 6 è passato per Ivrea, proprio in via Jervis dove insistono ben tre sedi importanti di altrettanti grandi aziende del settore TLC (Vodafone, Wind3, Comdata), tutte e tre in dichiarata situazione di crisi, il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, nonché vice presidente del consiglio, Luigi Di Maio. Io penso che una volta arrivato fino a Ivrea, avrebbe ben potuto chiedere di incontrare una delegazione delle tre aziende, tutte e tre fortemente legate a quell’Olivetti che tanto celebrano tutti nella cui ex Officina si sono incontrati illustri personaggi per parlar di futuro, dimenticando ahinoi! il presente.
Cadigia Perini