Come nel 2013 il colosso della telefonia Vodafone per non intaccare il profitto dei propri azionisti decide di risparmiare drasticamente sul costo del lavoro. Nell’incontro dell’11 marzo con le OOSS nazionali e il Coordinamento Nazionale delle RSU, indetto per presentare il nuovo piano industriale, l’azienda annuncia 1130 esuberi per il 2019.
Siamo alle solite, le multinazionali, grandi aziende che registrano ricavi milionari, con margini operativi a sei zeri, di fronte a lievi cali di margine, anche solo in un settore, falciano i lavoratori. E’ quello che sta di nuovo succedendo in Vodafone. A fronte di un margine operativo lordo (EBITDA) di 1.080 milioni di euro, pari al 37% dei ricavi totali, nel trimestre chiuso al 30 settembre 2018, a ricavi da servizi in lieve calo ma comunque attestati a 2.495 milioni di euro, con l’ultimo trimestre 2018 chiuso con ricavi da servizi pari a €1.260 milioni e una crescita continua dei ricavi di rete fissa (+11,3%) che compensano la lieve flessione di quelli da rete mobile per l’effetto dell’entrata nel mercato di operatori più “aggressivi” (come Iliad), Vodafone non si può certo definire un’azienda in crisi tanto da potersi permettere di dichiarare 1130 esuberi. Che poi l’azienda li definisca “efficienze” e non vuole sentir parlare di esuberi, non consola, anzi fa imbufalire. E anche i giri di parole del comunicato ufficiale Vodafone “L’azienda ha pertanto deciso di avviare un confronto con il Sindacato per condividere una ridefinizione complessiva del modello operativo e della conseguente riduzione del perimetro organizzativo pari 1130 efficienze appartenenti a tutte le funzioni aziendali.“, fanno veramente far uscire i fulmini dagli occhi.
Accanto al tema della concorrenza degli operatori low cost, effetto che comunque Vodafone ha già iniziato a contrastare con il lancio nel giugno scorso di una sua offerta a basso costo (Ho. Mobile), l’azienda porta a pretesto della necessità di tagliare personale la “digitalizzazione” dei servizi di call center (persone sostituite da messaggi registrati e “automi” che rispondono e/o indirizzano il cliente). Anziché finalmente, grazie alla tecnologia, migliorare la qualità della vita riducendo l’orario di lavoro a parità di salario operando risparmi su altre voci di bilancio, si chiedono condizioni peggiorative per i lavoratori. Così adesso si comincerà a parlare di tavoli, soluzioni reciprocamente soddisfacenti, ecc. Una trama stantia con un finale scontato: l’azienda raggiungerà il suo obiettivo, liberarsi di una bella parte di dipendenti, più di mille su 7000 dipendenti totali in Italia, incassando probabilmente anche aiuti statali attraverso gli ammortizzatori sociali.
C’è solo un modo per mettersi di traverso ai piani aziendali: una dura e serrata lotta sindacale. Ma rimanendo con i piedi per terra, guardando alle trattative del passato recente e del presente, non si intravvede questa forza, vuoi per la moderna tendenza di buona parte del sindacato di risolvere le controversie ai tavoli, quasi senza mobilitazione dei lavoratori, cercando di spillare qualche piccola concessione (il famoso “miglior accordo possibile”), vuoi per il senso di rassegnazione dei lavoratori che rinunciano a reagire nella convinzione che non serve a nulla, che tanto vince l’azienda. Se anche fosse così, perché non manifestare il proprio disaccordo, perché non disturbare almeno un po’ i “cinici” piani aziendali? Anche perché la chiusura del comunicato di Vodafone dell’11 marzo non tranquillizza affatto, “E’ stato avviato un dialogo con il Sindacato che si auspica, come accaduto in passato, possa proseguire in modo costruttivo con l’obiettivo e l’impegno reciproco di individuare quanto prima soluzioni sostenibili per le persone e per l’impresa.” Nel 2013 Vodafone parlava della “disponibilità alla ricerca di soluzioni non traumatiche” per i lavoratori. La puntualizzazione “come accaduto in passato” dovrebbe far preoccupare assai. Ricordiamo che il piano 2013 che prevedeva “700 esuberi strutturali per risparmiare 80 milioni di euro all’anno in 18-24 mesi”, fu messo in atto senza sconti con “mobilità volontaria incentivata”, e chi non accettava veniva inquadrato a un livello inferiore; licenziamento e collocamento presso aziende partner con la riduzione dello stipendo del 15%; contratti di solidarietà; imposizione del part-time non reversibile…
Ci sono oggi le condizioni perché sia diverso? Tutto da vedere. Vodafone nell’incontro dell’11 marzo non ha dato alcuna informazione rilevante sul piano di “efficientamento” che vorrebbe mettere in atto. Tutto rimandato al prossimo incontro già fissato per il 20 marzo.
Ricordo in chiusura di articolo quanto ci disse una lavoratrice intervistata dopo la firma del sofferto accordo del 2013 “Hanno firmato un ricatto … anche alcuni delegati lo ammettono. Dal mio punto di vista, e di molti altri colleghi, abbiamo dato mandato all’azienda di fare da ora in poi tutto ciò che vorrà … e i media hanno diffuso notizie come se tutti fossimo soddisfatti di questo accordo, ma nessuno lo è perché non troveranno mai 700 volontari [il numero di esuberi dichiarato dall’azienda, ndr] e tra un anno cosa succederà? Tutti demansionati e sbattuti in call center che peraltro potrebbe essere il prossimo settore a essere ceduto. Non so … amarezza e delusione è ciò che si sente di più …”.
Purtroppo vedeva giusto e lontano quella lavoratrice … infatti una notizia è stata data, il settore che verrà maggiormente toccato è quello dei call center (7-800 persone, e inoltre 150 area commerciale, 100 area tecnica, 100 staff).
Ma si può provare a scrivere un finale diverso. La penna è in mano alle organizzazioni sindacali, ai lavoratori e alle lavoratrici, ma anche alle istituzioni pubbliche, dalle Regioni che saranno coinvolte al Ministero del Lavoro e a quello dello Sviluppo Economico, che si spartiscono lo stesso ministro.
Cadigia Perini