Il 27 luglio Vodafone si presenta in Regione con una proposta irricevibile: per tornare a Ivrea i lavoratori devono licenziarsi. E Cgil-Cisl-Uil sottoscrivono.
Il tavolo regionale con azienda e sindacati si era attivato grazie alla determinazione dei lavoratori e alle diverse iniziative di mobilitazione organizzate dal Cobas, il sindacato che rappresenta la maggior parte delle persone trasferite: presidio davanti al palazzo regionale, sciopero di 8 ore con presidi a Roma e interrogazioni parlamentari, volantinaggi, raccolta firme e presidi a Ivrea. Hanno fatto di tutto per portare all’attenzione delle istituzioni, dei mass media e dei cittadini “l’azione ritorsiva e discriminatoria che viene posta in essere con il trasferimento dei dipendenti da Ivrea a Milano sotto le mentite spoglie di una asserita riorganizzazione aziendale.” L’incontro del 27 era fissato per esaminare il “ventaglio” di proposte alternative al trasferimento che Vodafone si era impegnata a trovare nel precedente incontro del 12 luglio. “Sapevamo già che queste proposte difficilmente sarebbero state soddisfacenti, dal momento che ci erano già state accennate, ma ciononostante abbiamo voluto rispettare il tentativo di mediazione della Regione Piemonte e consentire a Vodafone di dare seguito alla dichiarata disponibilità di reperire soluzioni e per tale ragione abbiamo perciò sospeso scioperi e altre forme di agitazione.”, scrive il Coordinamento Cobas Vodafone nel suo comunicato.
La proposta indecente Vodafone
Il “ventaglio di proposte” si è ridotto però a una sola “geniale” opzione: licenziarsi da Vodafone per andare (tornare per i più) in Comdata (di sicuro gentilmente invitata a sottostare al diktat del grande cliente che non chiede, ma ordina). Sì, proprio Comdata, l’azienda che 15 dei 17 trasferiti ha lasciato poco più di un anno fa per tornare in Vodafone dopo la sentenza di reintegro del Tribunale a seguito dell’impugnazione della cessione del 2007.
Da qui la conferma, se mai servisse, che i trasferimenti a Milano non erano mossi da necessità organizzative, ma solo l’ennesimo tentativo per liberarsi di lavoratori indesiderati.
Certo l’accordo prevede che in Comdata i lavoratori mantengano livello e anzianità, ma solo quelli. Perderebbero invece “i Ticket Restaurant, il Fondo di Solidarietà (ovvero le forme di assistenza e integrazione salariale), tutti i trattamenti di miglior favore derivanti dagli accordi integrativi aziendali e, soprattutto, la garanzia del posto di lavoro perché si tratterebbe di neo-assunzioni, con piena applicazione del job’s act”. A chi sceglie di licenziarsi viene elargita una compensazione una tantum di quattro mensilità ma … “a titolo di transazione generale al fine di prevenire l’insorgere di qualunque lite”, ovvero prendi i soldi ma firmi un impegno per non far causa a Vodafone.
Per onor di cronaca, vi era anche un’altra proposta nel ventaglio: licenziarsi e basta. Dimenticando che licenziarsi è sempre possibile… inutile difatti parlare della eventuale buonuscita paventata da Vodafone e inserita nell’accordo con frase generica che nulla dice e impegna.
Per fortuna che nessun sindacato firmerebbe mai un simile accordo beffa!
E invece …
Cgil-Cisl-Uil hanno sottoscritto quei fogli, senza alcun mandato dei lavoratori, nemmeno dei loro iscritti. Hanno così dato un segnale chiaro: non contate su di noi per opporvi alle decisioni dell’azienda. “Cgil-Cisl-Uil, impartendo una memorabile lezione sindacale, il 27 luglio hanno dimostrato che contrastare un trasferimento che si è detto e scritto di ritenere immotivato e discriminatorio, si concretizza con l’avallare soluzioni che fanno uscire questi lavoratori da Vodafone per andare in un posto di lavoro con condizioni economiche e normative inferiori o accettare qualche soldo per poi cercare un nuovo lavoro. Secondo le organizzazioni confederali dunque per sottrarsi a una discriminazione bisogna uscire dall’azienda e di fatto accettare il ricatto che con i trasferimenti è stato posto in essere.”, scrive ancora il Cobas.
La categoria TLC della Cgil, ha provato a difendere la firma ricordando che il passaggio in Comdata non è obbligatorio (come potrebbe esserlo!), ma è solo “uno strumento in più per i lavoratori che non vogliano affrontare la trasferta a Milano”. Una giustificazione che si commenta da sola. Allo stesso tempo i confederali continuano a dirsi fermamente contrari ai trasferimenti, ma questa opposizione rimane nelle parole, perché nei fatti sia la totale assenza di mobilitazione (se si esclude una sola ora di sciopero) sia la firma dell’accordo che chiaramente mette una pietra tombale sui trasferimenti, dimostrano altro. E i lavoratori l’hanno capito e nessuno di loro, nemmeno le due iscritte alle Cgil, accetteranno di licenziarsi per tornare a Ivrea, continueranno invece a lottare contro l’azione discriminatoria dell’azienda.
Perché COBAS non ha firmato
Le motivazioni del rifiuto dell’accordo non sarebbero nemmeno da spiegare, nel suo comunicato comunque il Cobas identifica alcuni motivi principali:
- A differenza di ogni altra organizzazione sindacale siamo determinati a contrastare sindacalmente e legalmente i trasferimenti discriminatori.
- I lavoratori trasferiti nostri iscritti erano concordi nel non firmare un testo che anziché salvaguardare il loro posto di lavoro li accompagna all’uscita. Questi lavoratori pretendono giustamente di essere difesi, sostenuti e spronati a riottenere la loro sede di lavoro e la loro vita.
- Perché è un accordo che fa finta, nel caso non si voglia accettare la fuoriuscita, che avere un part-time verticale o una navetta aziendale possa garantire alle persone la capacità di resistere e non arrivare per sfinimento a dimettersi. Persone che tutti i giorni spendono mediamente 9 ore e mezza di vita per lavorare 5 o 6 ore indicizzando fax e indirizzandoli ai reparti competenti per la gestione, poiché è questa l’attività di alta professionalità che i lavoratori, secondo l’Azienda, possono svolgere solo a Milano.Per COBAS “la partita sarà chiusa solo quando le lavoratrici e i lavoratori ritorsivamente e discriminatoriamente trasferiti a Milano torneranno a Ivrea alle loro vite.”
Il ruolo della Regione
Lavoratrici e lavoratori sono rimasti anche molto delusi dalla posizione della Regione, il cui unico rammarico espresso dall’assessora al lavoro Pentenero sembra sia la mancata unità sindacale (sic). Scrivono i lavoratori “quelle istituzioni come l’Assessorato al Lavoro della Regione Piemonte che si attivano come luoghi e soggetti di mediazione e che magari possono suscitare qualche aspettativa, finiscono poi per interpretare questa funzione (ob torto collo o meno) come un mero compito procedurale con contorte giustificazioni dell’agire aziendale. Non è per questo che abbiamo lavorato a un coinvolgimento di questa istituzione e siamo certi che non possa essere questa la posizione condivisa da altri esponenti della Regione.”
Fallita dunque l’azione sindacale (dei sindacati “importanti”), non rimane ai lavoratori che l’azione legale. Ma quanta tristezza nel dover ricorrere alla giustiza dei tribunali per risolvere una questione come questa che rientra appieno nella contrattazione sindacale, o in caso di determinazione aziendale nella lotta sindacale? Anche l’assessore al lavoro del Comune di Ivrea alla domanda se l’amministrazione comunale non intendesse intervenire presso Vodafone ci disse “E’ una questione sindacale”. Ecco ora che la “questione sindacale” è affondata, qualcuno nel palazzo comunale spenderà una parola con Vodafone, che ha sede legale a Ivrea, o con l’assessora al lavoro, dello stesso partito, perché questi trasferimenti chiaramente discriminatori e vessatori, senza alcun fondamento nelle esigenze operative aziendali, vengano ritirati?
Cadigia Perini