Tutto è bene quel che finisce bene. È nato finalmente in Italia quel governo che sarebbe dovuto nascere un anno e mezzo fa. In un Paese normale il precedente sbandamento a destra costituirebbe un serio monito, una buona lezione per non ricommettere lo stesso errore. Ma nel nostro Paese dalla tenera cervice, al quale la dura lezione della storia fa semplicemente un baffo, e dove già la semplice intenzione di volere tutti i poteri da parte di un qualsiasi bardo prezzolato scatena i più acidi succhi gastrici nelle fameliche viscere del popolino, questo insegnamento non sembra avere alcuna presa. In questo nostro Paese, infatti, l’inclinazione a quella deviazione a destra pare essere un impulso incorreggibile, un retaggio ineliminabile. Ciò per dire che, da questo punto di vista, il compito che si prospetta per il nuovo esecutivo è davvero improbo, per non dire tragico. E la consapevolezza di questa estrema difficoltà e della pericolosità insita in questo nuovo e sempre più accidentato percorso legislativo era per fortuna ben evidente sui volti pallidi e sorridenti dei neoministri prima del giuramento davanti alla Costituzione e al capo dello Stato. Ognuno di loro sembrava in effetti cosciente del fatto che non ci si può permettere il minimo errore, che il loro operato dovrà veramente essere adamantino, svolto con disciplina e onore, e che nessuna macchia – nessuna! – dovrà mai comparire sulla loro attività, sul loro comportamento, sulla loro persona. Perché è chiaro a questo punto che anche un piccolissimo neo potrebbe fiaccare alla base questa loro ardua impresa salvifica e il popolo italiano verrà inesorabilmente divorato da se stesso, stritolato e disciolto dalle e nelle sue stesse viscere. Insomma, oggi per i politici italiani è arrivato il tempo in cui ogni promessa deve essere intesa come un debito e in cui le parole debbono acquistare il peso delle pietre. (Franco Di Giorgi)