Sulla sua pagina facebook la Cooperativa Marypoppins ha lanciato un nuovo progetto chiamato Àncora, un’iniziativa lodevole dal punto di vista degli obiettivi che si prefissa, ma che merita alcune riflessioni circa il ruolo del “volontariato”
Dalla pagina facebook della Cooperativa Marypoppins viene lanciato questo appello: “Fai parte di un’associazione? Una cooperativa sociale? Un circolo? Una società sportiva? Una parrocchia? Un gruppo scout? O sei un semplice cittadino, uno studente universitario, un pensionato o un gruppo di amici che vuole dare un supporto concreto ai percorsi di integrazione sociale dei rifugiati? A Chivasso e Ivrea c’è il nuovo progetto Ancora che ti dà l’opportunità di diventare tutor territoriale dell’integrazione e essere parte attiva nella costruzione di una comunità interculturale. Per saperne di più scrivi a [email protected]”
Noi abbiamo deciso di saperne di più e li abbiamo contattati.
Il progetto, al momento è in fase di attivazione su Chivasso e si basa su un’idea partita da Marypoppins con la collaborazione di altri enti quali: CIAC (Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale onlus), Ics Trieste, K-Pax Brescia e ADL Zavidovici. CIAC è capofila del progetto e Marypoppins è partner. Tutte le realtà indicate lo stanno portando avanti e hanno già attivato dei tutor territoriali di integrazione sul territorio di riferimento.
Ma cosa si intende esattamente per tutor territoriale? Ecco quanto spiegato nel programma del progetto: “Una maggiore compenetrazione tra risposte istituzionali e risorse informali è da molti considerata la chiave per ripensare il sistema di welfare di soli servizi in un sistema di welfare di comunità, in cui il tema delle relazioni sociali solidali e mutualistiche è centrale per superare lo scarto – visibile nei percorsi di accoglienza – tra adattamento passivo e sviluppo di soggettive progettualità di vita.
Ma per sperimentare nuovi livelli di partecipazione sociale e comunitaria occorre progressivamente ridurre l’impatto di “barriere architettoniche” spesso invisibili ma pure attive: lingua, burocrazia, vincoli procedurali, categorizzazione dei bisogni e delle risposte, attese implicite sul comportamento e la comunicazione, scarsa sensibilità alle differenze culturali.
Al fine di superare queste barriere, CIAC – nel contesto del progetto FAMI “Àncora: Progetto sperimentale di comunità a supporto dell’autonomia dei titolari di protezione internazionale” – ha pensato di sperimentare la figura del tutor territoriale dell’integrazione: un soggetto collettivo (associazioni e cooperative sociali in primo luogo) o individuale, che “adotta” un percorso di integrazione sociale, mettendo a disposizione le proprie competenze relazionali e\o professionali attraverso un rapporto progressivamente più stretto con il rifugiato.
Nel concreto, a chi vorrà aderire verrà chiesto di promuovere uno scambio interculturale significativo per entrambe le parti; garantire un supporto sociale pratico e anche un sostegno emotivo attraverso una relazione interpersonale significativa; facilitare la conoscenza e la comprensione del territorio e delle sue dinamiche sociali, politiche, economiche; valorizzare e socializzare il rifugiato e le sue specifiche caratteristiche, attitudini e capacità; consolidare legami significativi.
In che cosa può impegnarsi un tutor?
Nel sostegno emotivo e relazionale del rifugiato, in primis, e può farlo con diverse modalità, come ad esempio, l’invito ad eventi, ad iniziative culturali, incontri associativi, occasioni ludiche, garantendo almeno un contatto telefonico settimanale o un incontro mensile, guidare alla scoperta di luoghi, di persone o di storie significative, proporre momenti di convivialità, gite e altri momenti di socialità.
Nel supporto sociale pratico del rifugiato, in secundis, per esempio attraverso la conversazione per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, l’accompagnamento alla ricerca di soluzioni abitative in autonomia, il supporto nel superamento di esami per la patente, nella lettura e nella comprensione di documenti burocratici e finanziari (conto corrente, contratti telefonici, di lavoro…)
In che cosa può impegnarsi il rifugiato?
Gli esempi sono molteplici: aggiornare i tutor tempestivamente su cambiamenti della propria situazione in Italia (lavoro, salute, decisioni etc), esprimere gusti e preferenze personali o proporre attività e iniziative da fare insieme.
Quali sono le fasi di attivazione del percorso di tutoraggio?
-Segnalazione della disponibilità a CIAC;
-Primo colloquio di conoscenza;
-Partecipazione alla proposta formativa;
-Presentazione del rifugiato al tutor;
-Avvio del tutoraggio per l’integrazione;
-Momenti di confronto e monitoraggio con CIAC.”
Per quanto riguarda il sostegno emotivo e relazionale, ci pare un’idea davvero buona poter offrire un appoggio che vada oltre la relazione obbligata con l’ente che deve gestire la presenza sul territorio, soprattutto per poter garantire un’integrazione efficace ed efficiente. Servirebbe inoltre a ridurre quel senso di diffidenza, spesso basato su preconcetti, che cadono facilmente una volta che si stabilisce una relazione di conoscenza più profonda, facendo partecipi anche amici e altri soggetti, in un effetto domino virtuoso.
Quello che lascia un po’ perplessi è l’aspetto che riguarda il sostegno sociale pratico. I punti relativi a questo aspetto toccano professionalità, a volte anche piuttosto specializzate, che non dovrebbero essere svolte da chi ha già in carico questo compito, cioè le cooperative stesse, designate (dopo attento bando, per quanto concerne il territorio in questione) proprio per affrontare gli aspetti pratici e burocratici della richiesta di asilo? Non potrebbe essere affidato in una specie di sub-appalto, a professionisti del settore pagati e non a titolo volontario? Affidare al volontariato compiti che devono essere svolti con una certa professionalità, e chiedere quindi a persone che abitualmente forniscono tali servizi per lavoro, di farlo gratuitamente come tutor è un po’ come chiedere al panettiere di sfornare pane da regalare alla mensa che ha vinto il bando per cucinare nelle scuole.
Perché mai qualcuno dovrebbe lavorare gratis per chi invece ha vinto un bando e riceve dei soldi per fare lo stesso lavoro?
In generale, l’idea di fondo è perfettamente in linea con quanto stabilito dal bando redatto dai Consorzi per i Servizi Sociali, nell’impegno preso con la Prefettura, per gestire territorialmente il flusso dei migranti e richiedenti asilo: un maggior coinvolgimento della popolazione attraverso sistemi di inclusione attiva, tramite progetti o inserimento all’interno di strutture già attive sul territorio, quali associazioni, gruppi giovanili, gruppi artistici, ecc. Insomma un impegno per garantire inclusione e rispetto reciproci. Attenzione però a non voler caricare sulle spalle di cittadini e associazioni, pesi non così pertinenti e soprattutto di cui altri devono occuparsi. Non si rischia di ottenere l’effetto contrario? Un carico difficile da sostenere, frammentato e affrontato in maniera diversa da caso a caso, senza che le necessarie competenze e professionalità siano coinvolte in modo adeguato?
Il flusso migratorio va gestito con una certa serietà e competenza, mettendo in campo delle professionalità specifiche. Non è solo una questione umanitaria. L’integrazione e l’inclusione devono essere rese possibili attraverso percorsi che hanno un preciso iter, sopratutto burocratico (e l’Italia in fatto di burocrazia è il caos massimo), non facile da seguire da chi non ne ha già una buona pratica. Ben vengano quindi tutoraggi di relazione emotiva e di supporto per l’ingresso in un certo tessuto sociale, ma per il resto, non sarebbe meglio che ognuno facesse il suo mestiere per intero, senza delega? Il tutoraggio, del resto, anche in ambito pratico è affidato (come da accordi con la Prefettura) ai consorzi, chiamati a vigilare sul buon andamento dei lavori svolti dalle Cooperative. Non sarebbe meglio attenersi al programma già esistente?
Lisa Gino