Manifestazioni a Torino e in tutta Italia per chiedere il reddito universale. Una misura di cui bisognerebbe iniziare a parlare seriamente
Proteste in piazza Castello a Torino, dove circa 250 persone si sono riunite al grido di “Tu ci chiudi, tu ci paghi” portando una proposta inedita nel panorama politico, ma che si sta lentamente ricavando un minimo spazio nel discorso pubblico grazie all’attivismo di una piccola parte della società civile e alle dichiarazioni di alcuni outsider: il reddito universale.
Nonostante sia stata portata nelle piazze di tutta Italia all’incirca nella stessa giornata, questa proposta ottiene nel dibattito politico meno considerazione di quanta se ne concede ai negazionisti che inneggiano contro la dittatura sanitaria. Lasciando stare per il momento la posizione ovviamente contraria di Confindustria e di tutta la politica bipartisan che le gravita attorno, per i quali è ormai chiaro sarebbe preferibile tappezzare le strade di morti piuttosto che veder calare il fatturato, il reddito universale viene considerato quantomeno naif anche dalle parti meno avverse alle tematiche sociali, una proposta buona giusto per qualche estremista. In piazza Castello troviamo infatti gruppi dei centri sociali (Manituana, Askatasuna, Gabrio e Prinz), Potere al popolo, sindacati Cobas e Usb, delegazioni No tav, collettivi universitari e alcuni riders. Quella parte di sinistra sempre priva di rappresentanza, spesso troppo ingenua e idealista per sopravvivere alla politica politicante italiana. A loro si riserva il sorriso paternalistico che si riserva ad un bambino che proponga di stampare più soldi per combattere la povertà. Peccato sia esattamente quello che fanno le nazioni in crisi.
È proprio questo il punto alla fine: siamo nel bel mezzo di una crisi per la risoluzione della quale sono necessarie misure straordinarie. Se le rivolte del 26 ottobre ci hanno insegnato qualcosa è che non solo chi ha un’attività o un lavoro in regola soffre per le misure di lockdown: tutti i lavoratori in nero, i disoccupati e i dimenticati dal discorso pubblico stanno vivendo una situazione anche peggiore. Non è un caso se i danni sociali della prima ondata sono stati contenuti grazie a misure come il reddito d’emergenza, introdotto in seguito alla campagna promossa dal Forum diseguaglianze e diversità. Quella del reddito universale sarebbe una proposta sì rivoluzionaria, ma la sua applicazione permetterebbe di porre fine alla scelta tra salute e stipendio della maggior parte della popolazione, permettendo l’applicazione di un lockdown totale, (misura impopolare ma efficace e richiesto a gran voce da ormai sempre più medici) senza ridurre la popolazione alla fame.
Non è un mistero nemmeno come, mentre il mondo si impoveriva a causa della pandemia, i grandi colossi come Amazon, Google e le grandi case farmaceutiche abbiano visto i propri guadagni crescere ulteriormente. Vi sono momenti nella storia dove i soldi bisogna prenderli da chi li ha e di modi per farlo ne esistono anche parecchi: senza voler arrivare per forza al reddito universale, si potrebbe iniziare a parlare di una patrimoniale come quella applicata dal governo Sanchez (PSOE) in Spagna, che ha inoltre iniziato a destinare sempre più fondi verso la ricerca, la sanità e la casa. Come giustamente sostenuto dal vicepresidente Iglesias (Unidas Podemos), la pandemia potrebbe essere l’occasione di ridiscutere i dogmi economici precedenti, insomma superare l’austerity e tornare a investire nel pubblico. Insolito vedere un governo di sinistra fare cose di sinistra vero? Persino Joe Biden, espressione diretta dell’ala più centrista e moderata dei Democratici statunitensi, nelle sue dichiarazioni supera a sinistra i nostri partiti, di governo e opposizione.
Ma perché nel dibattito pubblico nostrano di queste posizioni non si trova traccia?
C’è sicuramente l’interesse politico nel mantenere il discorso polarizzato tra chi vuole riaprire tutto per permettere alla gente di lavorare e chi vuole chiudere tutto per non far collassare gli ospedali costringendoli a scegliere chi salvare, insomma tra chi vuole morire di malattia e chi di fame. Ma la volontà politica da sola non basta: l’altro elemento, allo stesso tempo causa e conseguenza del primo, sono i grandi media e il loro ruolo nel narrare e plasmare il dibattito. Servirebbe per questo tema una discussione a parte, ma non è una novità come nei media di massa si preferisca uno spettatore o un click in più rispetto a un’informazione più approfondita: è così che arriviamo a vedere cospirazionisti e mistificatori di professione chiamati a dire la loro su qualsiasi tema in nome della libertà di espressione, ed è così che il dibattito viene spinto sulle posizioni che più fanno comodo, costruendo sia una parte che il suo opposto, le quali verranno cavalcate dal politico di turno a seconda della direzione del vento. Le posizioni presenti fuori da questo dibattito ricevono così meno copertura mediatica di quanta ne ricevano i negazionisti del covid.
È un gioco sottile ma efficace, come lo è stato definire la manifestazione di Torino “manifestazione degli anarchici”, evocando sia lo spettro dei disordini causati dallo sgombero dell’Asilo Occupato sia quelli del 26 ottobre, causando un inutile dispiegamento di forze di polizia che ha bloccato ogni accesso alla piazza (i contribuenti possono ringraziare la questura di Torino, che brilla sempre per sproporzione e inefficacia), per un presidio che non era né anarchico né violento. L’unico elemento della giornata che verrà trattato dai giornali nei giorni successivi sarà uno striscione con su scritto “Vale più la vetrina di Gucci di una generazione senza futuro”. Ecco sarebbe davvero il caso di chiedercelo.
Lorenzo Zaccagnini