Dopo “corona virus” fra le coppie di parole più ricorrenti in questi ultimi mesi troviamo “smart working”. Definizione spesso usata a sproposito, non solo perché esiste la definizione italiana “Lavoro Agile”, ma perché nella maggior parte dei casi chi oggi sta lavorando da casa non è in “smart working”, né per la legge né per le modalità di lavoro.
Lavoro Agile (o per gli anglofili Smart Working) viene spesso semplicemente associato al “lavorare da casa”, ma in realtà per Lavoro Agile si intende molto di più: una diversa modalità di svolgere il proprio lavoro con una sua legge che la regolamenta, la n. 81 del 22 maggio 2017.
La legge 81/2017 prevede il Lavoro Agile nell’ambito di un contratto di lavoro subordinato e indica che l’attività lavorativa possa essere svolta “in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa“, quindi anche da casa, ma non necessariamente, e con orario “autodeterminato” dal lavoratore.
Il Lavoro Agile è una modalità di lavoro pensata soprattutto per tipologie di lavoro vicine al free lance, al libero professionista, è infatti definito dalla legge come attività con “forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” (art. 18)
Da queste premesse, è chiaro che buona parte delle persone che oggi stanno lavorando da casa a causa della pandemia, non stanno facendo Smart Working. Pensiamo agli operatori e alle operatrici dei call center: questi non possono certo svolgere il loro lavoro dove vogliono e negli orari che vogliono, ma devono stare nella postazione di casa predefinita ed essere sempre presenti negli orari del proprio turno. Per tutti questi lavoratori sarebbe più giusto parlare di Telelavoro che prevede che il dipendente svolga la sua attività nelle stesse modalità ma da una postazione fissa in un luogo diverso dalla sede aziendale, tipicamente a casa.
Perché allora parliamo di Smart Working?
A prescindere dal tipo di lavoro, oggi si parla solo di Smart Working, probabilmente perché non esiste per il settore privato una definizione e regolamentazione legale di telelavoro, ma questo si basa soprattutto su accordi aziendali. (Per la PA esiste invece la legge 191/98)
Esiste un accordo quadro europeo di riferimento sul telelavoro, assunto anche da Confindustria, ma questo definisce semplicemente il telelavoro come “una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa.”. Non vi è però per questa modalità di lavoro tutta la regolamentazione prevista nella legge 81/2017 (art. 18-23) sul il Lavoro Agile che prevede fra le altre cose:
- tutela contro gli infortuni sul lavoro, “Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.” (art. 23, c.2)
- tutela della salute e sicurezza, “Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.” (art. 22 c. 1) e “Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.” (art. 22 c. 2)
- responsabilità del datore di lavoro sulla sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attivita’ lavorativa. (E’ previsto infatti che sia il datore di lavoro a fornire le apparecchiature al lavoratore, salvo accordi diversi)
- controllo telematico a distanza vietato al di fuori di quanto disposto nell’art. 4 della legge 300/70, lo Statuto dei lavoratori.
L’emergenza e le deroghe
La legge 81/2017 prevede che il passaggio al Lavoro Agile debba essere concordato con il lavoratore e sancito con un accordo individuale e che i dati del lavoratore e gli estremi dell’accordo vengano registrati dall’azienda con la specifica procedura sul sito del Ministero del Lavoro.
Ma …, c’è sempre un ma quando si parla di diritti dei lavoratori, per tutto il periodo di emergenza sanitaria, da fine gennaio a fine luglio 2020, le aziende sono state esonerate dal firmare accordi preliminari. Nel DPCM 8 marzo (art. 2, comma 1, lettera r) si legge infatti che “la modalità di lavoro agile (…) può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.
Non è una modifica di poco conto, poteva essere chiesto, almeno per le aziende di una certa dimensione, un accordo collettivo in luogo di quello individuale, ma cancellarlo del tutto penalizza i lavoratori che non avranno un “pezzo di carta” per rivendicare il rispetto di regole definite. L’accordo infatti per legge deve definire le “forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro” e individuare i “tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Uno dei temi critici del lavoro da casa (sia esso lavoro agile o telelavoro) è infatti quello che potremmo chiamare “fine lavoro mai”, quella tendenza a voler terminare un lavoro e avendo l’ufficio “in casa” di continuare a lavorarci oltre l’orario giornaliero e settimanale. Oppure, in particolare per le donne, il cercare di inframmezzare il lavoro domestico e cura al lavoro retribuito. Non per nulla il profilo medio del lavoratore agile è “uomo, 41 anni e del Nord Italia”, ma in questo frangente, con le scuole chiuse, saranno soprattutto le donne a lavorare da casa.
Le insidie del lavoro da casa
Le aziende, soprattutto le grandi aziende, amano molto lo smart working, fa risparmiare costi di struttura e sembra che la produttività del lavoro da casa sia maggiore. Inoltre il lavoro agile regala alle aziende un rapporto uno-a-uno con il lavoratore senza intermediari, senza confronto sindacale, libertà di azione. L’Osservatorio del Politecnico di Milano definisce lo Smart Working ”una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Una frase che sprizza positività trasmettendo accattivanti messaggi del tipo, “puoi diventare manager di te stesso”, “hai piena libertà di tempo e spazio, maggiore autonomia”, “yeah!”, viene da aggiungere. Ma questa modalità nasconde l’insidia dell’aumento dell’individualismo, della competitività, a scapito della cooperazione e della condivisione. Il confronto quotidiano vis-à-vis con i colleghi è una sana esigenza sociale oltre che professionale.
Fra le insidie del lavoro agile vi è infatti la parcellizzazione e solitudine dei lavoratori. Così come l’introduzione di contratti precari, a chiamata, somministrazione, ha portato alla frammentazione della “massa lavoratrice”, alla rottura dei collegamenti fra i lavoratori, indebolendo la loro forza contrattuale e la mobilitazione, anche il lavoro da remoto, anzi in misura maggiore, lascia da solo il lavoratore, privato del confronto e conforto dei colleghi.
E se pensassimo ad un vero Smart Working?
E’ indubbio che il Lavoro Agile sia un’attrattiva per molti lavoratori e lavoratrici, pensiamo ai pendolari di lungo percorso e al risparmio di tempo e denaro che hanno lavorando da casa, ma non è sano che diventi la regola in tempi “normali”. Come per la didattica a distanza, va bene in situazioni di emergenza o di impedimento personale, ma quando si potrà tornare a lavorare in sicurezza, sarà più sano farlo negli uffici, separare il luogo di lavoro dal luogo di vita. Occorre concentrarsi nel ricercare un modo di lavoro veramente “smart” cancellando le decine di contratti precari, lavorando meno per lavorare tutti a parità di salario, assicurando pari percorsi di carriera fra uomini e donne, parità di salario per stesse mansioni, conciliazione dei tempi del lavoro e della vita, salario minimo garantito, dignità e lavoro per tutti.
Ecco così sì che potremmo parlare di Smart Working.
Cadigia Perini