“Tribù indiane, capitale, proletari nella storia del Nord America” presentato dall’autore Giorgio Stern e da Alfredo Tradardi venerdì 13 ottobre, alle ore 18, allo ZAC! (Movicentro) di Ivrea
Il 18 settembre 2004 appare su la Repubblica, nell’inserto L’America vuole celebrare i suoi “nativi”, un articolo di Vittorio Zucconi dal titolo Indiani, gli invisibili d’America, in occasione dell’apertura del National Museum of American Indians a Washington. Nel 1924 viene emanato l’Indian Citidenship Act, la legge che rendeva automaticamente Cittadini Americani anche il popolo invisibile ovvero i pochi superstiti del milione di nativi che abitavano il Nord America al momento dello sbarco dei puritani dal Mayflower, proprio loro che in America abitavano da 10 mila anni. Una cittadinanza acquisita però senza diritto di voto, concesso solo 20 anni dopo, alla fine della seconda guerra mondiale: un’ultima angheria, scrive Zucconi. La legge del 1924 era stata emanata dopo il sacrificio di 17 mila nativi americani nella prima guerra mondiale. Ma il fine era meno nobile: assimilarli definitivamente faceva cadere la validità di tutti i trattati, ovvero la concessione dei magri privilegi territoriali rimasti dopo lo sterminio delle guerre indiane alla fine del XIX secolo. Un finale esemplare, secondo Zucconi, alla tragedia che macchia come un peccato originale l’anima della civilizzazione americana.
Sulla civilizzazione europea del Nord America esiste un’ampia letteratura: da leggere La grande storia degli Indiani d’America di Jean Pictet e la Storia degli Indiani d’America di Philippe Jacquin. Una storia fattuale: i nativi difendono i loro territori dall’invasione dei visi pallidi, combattono anche fra di loro per assicurarsi i territori di caccia, non sono strutturati in comunità organizzate gerarchicamente, i capi hanno un ruolo di comando solo in occasione di guerre fra tribù, ma sono anche in grado di realizzare confederazioni al seguito di capi designati in occasione degli scontri bellici con l’esercito dei colonizzatori. Viene rappresentato il ruolo dei predicatori bianchi che considerano i nativi dei selvaggi da vincere e convincere e dei mercanti di armi e di alcool. Entrambi determinano un frattura nel tessuto sociale delle comunità indiane che vengono decimate, oltre che dai massacri perpetrati dai bianchi in seguito alle guerre indiane, anche dalle epidemie portate dai coloni europei che trovano un facile terreno nei nativi. La volontà di pace delle comunità indiane viene tradita con trattati ambigui, regolarmente disattesi dalle autorità dei bianchi. Degli indiani spesso si ignora la spiritualità della loro cultura orale: voce di luoghi, di alberi, di corsi d’acqua, di animali e di spiriti guardiani. Voci che parlano del rapporto armonico fra uomo e natura: l’uomo bianco vuole diventare, l’indiano vuole essere.
Il libro di Giorgio Stern
La sua originalità sta in una lettura storica che evidenzia gli interessi economici e di potere, i conflitti di classe, la schiavitù legalizzata: lo sfruttamento dei nativi fa parte di un disegno egemonico di dominio e di corruzione. L’espansione della nascente industria statunitense, lo sviluppo della rete ferroviaria, gli scandali della Union Pacific Railroad e della Northern Pacific con la devastante crisi finanziaria del 1873, la rottura dei trattati, l’invasione dei territori degli indiani, il loro genocidio ed etnocidio sono i temi trattati nel libro di Stern. Entrano nel quadro la guerra di secessione, le lotte operaie e la loro repressione. I capitoli conclusivi trattano della nascita dell’American Indian Movement nel 1968 per la difesa dei diritti e della cultura degli indiani. Vengono inoltre presentate le riviste che affiancano le lotte dell’AIM come il periodico Akwase Notes. Il Movimento chiede il rispetto dei trattati stipulati con i diversi governi americani dal XVIII al XX secolo, mai abrogati e sistematicamente violati. La repressione del Movimento da parte del governo culmina nel 1973 con gli scontri armati con l’esercito.
Giorgio Stern intrattiene dal 1973 rapporti con esponenti del movimento nativo americano. Nel maggio del ’73 presentò a Trieste Vernon Bellecourt, dirigente nazionale dell’American Indian Movement, che aveva partecipato nello stesso anno all’occupazione di Wounded Knee proclamato Territorio libero degli indiani d’America. In tutti questi anni ha presentato le sue ricerche in vari incontri e corsi, ha curato diverse mostre fotografiche. Dal copioso materiale archivistico e fotografico raccolto è nato Tribù indiane, capitale, proletari nella storia del Nord America.
Recensione a cura di Lino Santoro, pubblicata sulla rivista “Konrad”