Finalmente le scritte naziste sui muri sono state rimosse. Alcune riflessioni.
Nonostante un certo ritardo da parte dell’amministrazione comunale non posso fare a meno di gioirne, anche solo perché vederle passando per città in auto o a piedi mi dava il voltastomaco e mi rovinava la giornata.Tuttavia, leggendo alcune delle dichiarazioni pubbliche, non sono riuscito ad evitare una serie di riflessioni meno gioiose.
La prima è che Ivrea non è una grande città, ci si conosce un po’ tutti e la mano che ha fatto queste scritte non è difficile da immaginare, anche perché di fenomeni da baraccone di tale portata non è che ce ne siano poi tanti. L’amministrazione precedente, pochi anni fa, tentò di normalizzare e intavolare discussioni con l’associazione che ha firmato queste scritte. Un’iniziativa propugnata dalla presidente del consiglio della passata amministrazione che non ricevette nessun tipo di condanna da parte del sindaco o della maggioranza di allora.
Un atteggiamento, questo, che ci porta direttamente alla seconda riflessione. Da ormai decenni in Italia assistiamo ad una tendenza per cui tutto è uguale a tutto. Un esempio lampante è il discorso sulle foibe, un tema il cui discorso pubblico a riguardo ha ormai da anni abbandonato l’analisi storica, in favore di una non meglio precisata pacificazione nazionale.
Seppure in maniera minore lo stesso meccanismo viene applicato al fenomeno della Resistenza, parificando i morti di un regime di occupazione, basato sul terrore e asservito ad un folle esercito straniero, con i caduti di un gruppo di guerriglieri poco più che ventenni. Questa tendenza alla parificazione traspare forte e chiara anche nelle parole di condanna del sindaco di Ivrea verso chiunque faccia una scritta sui muri, una posizione che mette implicitamente sullo stesso piano chi quelle scritte le ha fatte con chi, ben prima dell’amministrazione comunale, le ha coperte, mettendosi in gioco e rischiando in prima persona in termini di denunce, di multe e di botte (perché sì, i nazisti sono ancora pericolosi come prima).
Un’ultima riflessione riguarda un errore che si tende a commettere, perlopiù in buona fede, quando si parla di nazisti: definire il fascismo “un passato che non si vuole far tornare”. In Italia il fascismo è una realtà che non se ne è mai andata, al massimo si è nascosta per lungo tempo. Proprio oggi cade l’anniversario della strage nella stazione di Bologna, compiuta dai NAR, un gruppo terrorista stragista di area fascista, colluso con mafia e servizi segreti stranieri e che fin troppo spesso viene parificato, nel discorso pubblico, ad altri movimenti di segno opposto degli stessi anni, rifuggendo la complessità della realtà storica e confondendo ancora una volta terrorismo con violenza. Alcuni membri dei NAR che sfuggirono agli arresti sono tutt’oggi in politica.
Ma non abbiamo avuto solo la strage della stazione di Bologna. La storia italiana è costellata di attentati e tentativi di colpo di stato di matrice nera. Il fascismo nel nostro paese non solo non è mai scomparso, ma anzi viene spesso fomentato da partiti che non si definiscono (almeno pubblicamente) tali, come fatto giustamente notare anche dal presidente dell’Anpi di Ivrea Mario Beiletti.
Citando il fumettista Zerocalcare: “è molto ipocrita indignarsi solo per i fenomeni da baraccone“. Per questo a volte mi viene da pensare che quelle scritte potevamo persino lasciarle dove stavano, per ricordarci che anche nella nostra “città di eccezionale bellezza” (cit) covano oscuri movimenti a cui non bisogna mai lasciare spazio e che dobbiamo ricordarci di combattere ogni giorno, non solo agli anniversari, con ogni mezzo ritenuto necessario e secondo le sensibilità di ognuno.
Lorenzo Zaccagnini