Entro la prossima settimana i lavoratori Vodafone di Ivrea trasferiti a Milano sapranno se i loro trasferimenti saranno revocati dal Tribunale di Ivrea.
Nell’udienza del 4 ottobre presso il Tribunale di Ivrea, a seguito dell’esposto del sindacato Cobas per condotta antisindacale ex art.28 L.300/70, sentite le parti, il giudice Buffoni ha chiamato in aula i lavoratori e le lavoratrici rimasti all’esterno (potendo essere in seguito chiamati a testimoniare) per informarli direttamente della sua decisione di prendersi 10 giorni per emettere la sentenza oppure aprire un’istruttoria sentendo dei testimoni. Entro il 14 ottobre i lavoratori e le lavoratrici dovrebbero quindi conoscere l’esito del loro primo passo formale per il rientro nella propria sede di Ivrea.
Nel frattempo sono passati più di due mesi dal vergognoso accordo del 27 luglio fra azienda e sindacati confederali piemontesi firmato in Regione Piemonte. Un accordo che secondo le parti firmatarie (Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil) rappresenterebbe uno strumento “di maggior tutela per il personale impattato“. Strumento che, stranamente, nessun lavoratore ha pensato di utilizzare, non uno. Sarà forse perché le opzioni possibili sono licenziarsi e stop oppure licenziarsi per essere assunti in Comdata, l’azienda nella quale 15 su 17 lavoratori erano stati esternalizzati da Vodafone nel 2007 salvo poi doverli far rientrare su ordine del Tribunale? Forse…
Un accordo talmente ignobile che ha smosso anche altri territorio dai quali sono arrivate forti critiche dai rappresentanti dei lavoratori appartenenti alle organizzazioni firmatarie, come la Rsu Vodafone di Bologna (cinque delegati Slc-Cgil e un delegato Uilcom) che scrive “con una mancia di 4 mensilità lorde, chi era stato reintegrato dal giudice in Vodafone potrà essere assunto dalla stessa azienda in cui era stato esternalizzato nel 2007!”, oppure la delegazione Slc-Cgil Vodafone di Roma che il 10 agosto prende le distanze dall’accordo in Regione Piemonte scrivendo “come delegazione SLC-CGIL territoriale riteniamo che un accordo di tale natura non sia da perseguire come modello nel nostro territorio.”
Ma vince su tutti il clamoroso ritiro della firma da parte della Uilcom che in una lettera della segreteria nazionale a Vodafone Italia (e per conoscenza alla Uilcom Piemonte) scrive “Ci preme l’obbligo di evidenziare dopo un’attenta analisi, la nostra contrarietà in merito a diversi passaggi inseriti nel citato testo [accordo territoriale 27 luglio 2017, ndr]” e termina “Pertanto Vi comunichiamo in nome e per conto anche della nostra Struttura Territoriale/Regionale, il ritiro della firma sull’accordo in oggetto“. Vergogna infinita. Ma si sospetta che non sia stato un tardivo imbarazzo, un disagio o pentimento ad aver fatto decidere la Uilcom a ritirare la firma, quanto piuttosto l’essersi ricordati che loro stessi (come pure la Slc-Cgil) stanno patrocinando cause contro Vodafone per il reintegro in azienda di personale ceduto nel 2007 e che la firma di un accordo che accetta i trasferimenti discriminatori di Vodafone contro lavoratori che avevano vinto le cause per il reintegro non sia proprio una bella mossa.
Insomma siamo di fronte ad una squallida pagina sindacale che nulla ha a che fare con la tutela dei lavoratori. Della stessa opinione è il sindacato Cobas che non ha firmato l’accordo di luglio e che sta promuovendo le cause contro i trasferimenti discriminatori, in un comunicato dal titolo “Quel pasticciaccio brutto dell’accordo in Regione Piemonte” leggiamo “Un pasticciaccio brutto perchè 2 mesi fa si è firmato un accordo che nulla ha a che fare con la tutela dei diritti e della qualità di vita dei lavoratori ma ha molta attinenza con interessi di organizzazioni, scelte sbagliate di cui nessuno rende conto e difese corporative.”
Ma chi sono i lavoratori e le lavoratrici trasferiti a Milano?
Sono tutti i reintegrati in Vodafone a Ivrea nel 2016 (tranne 2 lavoratrici in maternità), tutti iscritti al sindacato Cobas, tra questi i due delegati, in totale 15 più 2 lavoratrici con certificazione medica di non idoneità alla risposta telefonica. Sono dunque in 17 a farsi 240 chilometri al giorno per smistare fax al computer, lavoro che si poteva fare benissimo in Romania, ma assolutamente non può essere fatto a Ivrea secondo l’azienda.
Di questi diciassette, 13 sono donne e 4 uomini. Hanno un contratto part time in 13, 9 donne e i 4 uomini.
I parti time sono di 6 ore al giorno, questi lavoratori viaggiano quindi per più della metà del loro tempo di lavoro (circa 4 ore di viaggio al giorno).
C’era anche un part time a 5 ore, che però doveva poi aspettare un’ora a guardare il cielo di Milano in attesa della navetta dei colleghi delle sei ore ed allora l’azienda le ha “concesso” di lavorare 6 ore al giorno, ma per 4 giorni. Peccato che 5×5 faccia 25, mentre 6×4 dia come risultato 24 = 1 ora in meno di retribuzione alla settimana, che in una busta paga già ridotta, pesa parecchio.
Un’altra lavoratrice ha dovuto modificare il suo orario di lavoro passando dal tempo pieno al part time perché il viaggio a Milano ha sconvolto la sua organizzazione familiare. Questa lavoratrice abita infatti a Torino e ha tre figli.
Rinunce su rinunce, per l’arroganza di un’azienda che non sa gestrire un piccolo gruppo di lavoratrici e lavoratori “richiedenti diritto” e fa la voce grossa sperando che sfiancate, specialmente le lavoratrici, cedano. Stupisce che il colosso delle telecomunicazioni tanto “smart” non abbia ancora capito che la parola cedere non c’è nei vocabolari di questi lavoratori, è stata sostituita da “resistere” e “lottare”, anche perché non sono soli.
Cadigia Perini