Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia all’attacco del diritto all’aborto con una proposta oscurantista, movimenti femministi in piazza a Torino
Parte da Torino la protesta, velocemente ripresa anche in altre città italiane, contro i tentativi delle giunte regionali a guida Lega – FdI di ostacolare il diritto all’aborto e alla libera scelta delle donne sul proprio corpo. In Piemonte in particolare, con la proposta a firma dell’assessore regionale agli Affari legali Maurizio Marrone (FdI, subentrato a Roberto Rosso, arrestato per voto di scambio con la ‘ndrangheta) di aprire le porte dei consultori ad associazioni dichiaratamente anti-abortiste.
Promossa da Non una di Meno e dalla Rete + di 194, a Torino la protesta si è svolta in due presidi: al mattino in piazza Castello, davanti alla sede della giunta regionale, al pomeriggio in piazza Carignano. Diverse attiviste hanno manifestato vestite con gli abiti delle ancelle di Handmaid’s Tale e appendendo attaccapanni e mazzi di prezzemolo intinti nella vernice rossa, simbolo delle donne morte nel tentativo di procurarsi da sole un aborto clandestino con mezzi di fortuna. Manate di vernice rossa possono essere viste ancora adesso nelle piazze della protesta. Appesi in tutta la piazza vi erano anche piccoli cartelli informativi, ognuno dei quali riportava storie e informazioni sui tanti metodi attuati nel mondo e nella storia dalle donne per procurarsi un aborto da sole, quasi tutti decisamente antiscientifici ed estremamente dannosi. Nel mentre diversi interventi e racconti anche molto personali sulle difficoltà materiali di un’IVG (Interruzione Volontaria della Gravidanza), tra medici obiettori e leggi oscurantiste vecchie e nuove.
La proposta della giunta Cirio non è affatto nuova, anzi rispolvera una mossa già tentata dall’allora maggioranza Cota (governatore leghista decaduto a causa dello scandalo firme false), un tentativo bocciato dal Tar a fronte del ricorso presentato dalla Casa delle donne e Activia Donna. Come sempre il testo, parzialmente modificato per aggirare la sentenza del Tar, non descrive sé stesso o le associazioni coinvolte come esplicitamente anti-abortiste, bensì come pro-vita: questo escamotage retorico permette a questi gruppi di mostrarsi come laici, perché si rivolgono a donne di ogni religione, e rispettosi della libertà di scelta, dichiarando di fornire solamente aiuto alle donne che non intendono abortire ma che hanno difficoltà socio-economiche nel portare a termine la gravidanza. Questo giochino stilistico capzioso risulta oltre che falso anche offensivo per l’intelligenza dell’interlocutore: è cosa ben nota come queste associazioni siano finanziate quasi totalmente da gruppi di ultracattolici conservatori, e come invece di fornire aiuti concreti imbottiscano le malcapitate di informazioni manipolate in maniera strumentale (si prendano a esempio i terribili cartelloni anti-aborto comparsi in diverse città italiane e fortunatamente velocemente rimossi) facendo pressione psicologica per far nascere sensi di colpa nelle donne.
Ad essere onesti tuttavia, le responsabilità per la crescente difficoltà che incontrano le donne intenzionate a portare a termine un’IVG non è da ricercarsi solo a destra (che pure si fa portavoce della battaglia contro l’autodeterminazione). Negli ultimi 5 anni la privatizzazione selvaggia della sanità portata avanti in maniera bipartisan, anche dal PD che ha governato la regione fino al 2019, ha portato alla chiusura di 208 consultori in tutta Italia. Gli effetti di tale privatizzazione si sono visti chiaramente durante il caos della gestione pandemica, piemontese e non solo. Ironico come la stessa giunta che ha fronteggiato la crisi del Covid 19 e che ha potuto vedere coi propri occhi cosa comporta avere un servizio sanitario debole e male strutturato, decida di portare avanti una proposta che danneggia e affatica ancora di più la sanità pubblica: oltre all’ingresso delle associazioni anti-abortiste nei consultori, la mozione proibisce a questi ultimi di fornire la pillola Ru486 e impone l’obbligo di ricovero di 3 giorni in caso di aborto farmacologico, che grazie alla direttiva di agosto del ministro Speranza, in adeguamento alle norme europee in vigore già da due anni, sarebbe stato possibile effettuare in regime di day hospital.
Tutto questo non accade solo a Torino: la protesta si è rapidamente espansa ad altre città del Piemonte (Asti, Cuneo, Novara) e a tutte quelle regioni governate dalla destra (Marche, Umbria, Abruzzo, Veneto e Friuli), fattasi ormai fiera portatrice della battaglia contro i diritti di genere, mentre il centro-sinistra arranca con pigre dichiarazioni sempre meno incisive, ormai incapace del minimo coraggio necessario per portare avanti una battaglia divisiva ma fondamentale del nostro paese.
Se poi si prova ad allargare lo sguardo oltre i confini italiani, la situazione non appare migliore; mentre il South Carolina approva la legge più restrittiva degli USA sul diritto all’aborto, mentre in Polonia la legge tanto contestata inizia a concretizzarsi nei suoi effetti più dannosi, mentre la Turchia si ritira dalla convenzione di Istanbul sulla violenza di genere, il corpo delle donne rimane il campo di una battaglia di civiltà in una guerra di trincea senza fine dove ogni centimetro si strappa con i denti.
Lorenzo Zaccagnini