Al castello di Albiano il 23 e 24 aprile ampia partecipazione al seminario “Nonviolenza: cui prodest?” La pratica della nonviolenza come mezzo di trasformazione dei conflitti. Organizzato dal Movimento Internazionale della Riconciliazione – Movimento Nonviolento Piemonte e Valle d’Aosta.
Nei giorni 23 e 24 aprile al Castello di Albiano, ho partecipato, con altre quaranta persone di varie zone del Piemonte, a un interessante seminario organizzato dal MIR-Movimento Nonviolento, sulla nonviolenza e la pace nel mondo.
Ha aperto i lavori Angela Dogliotti Marasso, ex-insegnante e già presidente del Centro Studi Sereno Regis di Torino, che ha invitato i partecipanti a riflettere sulle alternative all’uso delle armi nei casi di conflitti tra le nazioni.
Soffermandosi sulla tragedia in corso in Ucraina, la relatrice ha evidenziato tre livelli di “lettura” di questa guerra: l’aggressione militare della Russia nei confronti della Ucraina; come si è arrivati a questo conflitto armato, quali sono gli “attori” e quali obiettivi politico-militari essi vogliono raggiungere; se l’uso della forza militare è l’unica strada per contrastare l’aggressione armata e se esistono alternative praticabili alla resistenza armata.
Per approfondire quest’ultimo aspetto, la relatrice ha proiettato un documentario sulla esperienza poco conosciuta di “resistenza civile non armata e non violenta” vissuta dal popolo danese durante l’occupazione nazista della Danimarca nel corso della Seconda guerra mondiale.
Nel pomeriggio, dopo l’esposizione dei lavori dei gruppi che nel corso della mattinata hanno approfondito alcuni aspetti della “filosofia” e delle pratiche della nonviolenza, Pierangelo Monti, ex-insegnante e attuale presidente del MIR (Movimento Internazionale per la Riconciliazione), ha approfondito le radici etiche e religiose della nonviolenza, soffermandosi in particolare sulle testimonianze e gli insegnamenti di Gesù, Gandhi, M.L. King, Mons. Romero, Papa Francesco. Ha fatto riferimento anche al libro del filosofo Norberto Bobbio “Il problema della guerra e le vie alla pace” nel quale distingue tre tipi di pacifismo: strumentale (disarmo), istituzionale (organizzazioni internazionali, diplomazia, democrazia, riforma o superamento degli stati), finalistico (conversione delle persone alla nonviolenza e all’obiezione di coscienza). All’incontro del pomeriggio ha partecipato anche Mons. Luigi Bettazzi che ha celebrato la messa festiva e ha cenato con i partecipanti alla due giorni e con le famiglie profughe dall’Ucraina, ospitate nella comunità del Castello.
Nella mattinata del secondo giorno la professoressa Valentina Pazè, docente dell’Università di Torino, ha approfondito i temi del diritto internazionale e del funzionamento dell’ONU, evidenziando, anche in base agli studi di Luigi Ferrajoli, che per prevenire le guerre occorre riformare l’Organizzazione delle Nazioni Unite e arrivare a una Costituzione della Terra, cioè adeguare il diritto internazionale alla realtà odierna, rilevando, ad esempio che è ormai da abolire il diritto di veto assegnato ai cinque stati vincitori della Seconda guerra mondiale, unici membri permanenti nel Consiglio di sicurezza dell’ONU. Questa impostazione causa la paralisi dell’ONU, che non riesce a svolgere il primo compito per cui è nata nel 1945: “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”.
Al termine del seminario, dopo avere ascoltato la relazione di Paolo Candelari, del Centro Studi Sereno Regis di Torino, sulle attività dei movimenti internazionali per la pace, i partecipanti si sono scambiati le opinioni sui due giorni trascorsi e sulle proposte di attività future, sia per la crescita personale che per un cambiamento sociale finalizzato alla pace, al disarmo, al rispetto dei diritti di tutti i popoli.
Personalmente questo seminario mi ha aiutato a capire che per promuovere la “pace perpetua” di cui parla Kant, occorre lavorare a diversi livelli: a livello culturale per diffondere i principi etico-filosofici della “cultura della pace”; a livello politico nazionale per realizzare il progressivo disarmo, soprattutto quello delle armi di distruzione di massa e per istituire la “difesa civile non armata e non violenta”; a livello della politica estera per realizzare la riforma dell’ONU e l’adeguamento del diritto internazionale alle mutate condizioni delle società moderne.
Soltanto impegnandoci su questa linea di azione è possibile, secondo me, evitare che le iniziative di sensibilizzazione e le lotte del movimento pacifista si riducano a una mera “fatica di Sisifo”, a “gesti simbolici”, anche se “profetici”, che però non cambiano le attuali “strutture di peccato” (Giovanni Paolo II nella enciclica “Sollicitudo rei socialis”), quali le ideologie nazionaliste e militariste che fomentano la produzione e il commercio degli armamenti, specialmente di quelli atomici che scatenano le guerre nel mondo e stanno portando l’umanità sull’orlo della catastrofe nucleare.
Mario Zannini