I furbetti del cartellino, Bebe Vio e dj Fabo
Da semplice cittadino, non certo da improvvisato saggista, non avendone alcuna qualità, mi colpisce la reiterata sfrontatezza dei presunti lavoratori che continuano a strisciare il badge altrui nelle pendole orarie prima di recarsi o NON recarsi al lavoro. Mi sorprende la serafica indifferenza con cui i cosiddetti “Furbetti del cartellino”, nonostante le ripetute avvisaglie, dovute al rimbalzo delle immagini dei furbetti già pizzicati sui media nazionali, persistano nelle loro abitudini, del tutto incuranti di rischiare il licenziamento. Uomo avvisato, mezzo salvato, recita il proverbio di secolare memoria, ma evidentemente nemmeno i proverbi possono più contro i ritardi di coscienza.
I casi sono due: o questi furbetti non hanno bisogno di lavorare oppure sono così inclusi nell’idea che l’illecito sia ormai norma acquisita, e quindi impunibile, da non poter più credere a un possibile cambio di sistema.
Generalizzando antipaticamente, si potrebbe osservare come il “sistema” appaia come la sola entità eventualmente imputabile di colpevolezza, mentre le sue componenti individuali non sono che delle vittime. Il sistema è il paravento di ogni furberia e la colpa di un singolo è sempre giustificata attraverso le colpe degli altri. In fondo se io timbro il cartellino altrui è perché anche gli altri lo fanno, dunque, se tutti sono colpevoli, nessuno lo è. Tutti, o quasi tutti, diventano artefici di una girandola di reciprocità così collaudata e diffusa da non sembrare più nemmeno una truffa. Esattamente come una bugia, a lungo ripetuta, finisce per diventare una mezza verità.
Naturalmente, tanto più si addossano al sistema tutte le responsabilità, tanto meno le si imputano all’individuo che finisce di trasecolare o dare in escandescenze solo quando è beccato con le mani nel sacco. Una volta colto in flagrante o addirittura in mutande come in quel di Sanremo, tale individuo tende a negare l’evidenza fino a intendere il posto di lavoro come una dependance del proprio salotto. L’abitudine a mimetizzarsi, a farsi scudo dietro le pecche del sistema, è tipico degli individui magari dotati di personalità (caratteristiche dell’individuo in base alle condizioni sociali) ma del tutto sprovvisti di individualità (caratteristiche dell’individuo in base alla sua intimità).
Il sistema si autodetermina, così, in funzione delle sue pessime abitudini e gli individui sono tanto più irresponsabili verso se stessi quanto meno sono dotati di individualità.
L’individualità, nella nostra società, viene principalmente confusa con l’individualismo quindi sempre declinata al negativo. Il disvalore è dunque l’individualità mentre, ahimé, il valore è il sistema che perpetua, protegge e alimenta la corruzione.
In questo stato di cose, chi si nasconde nel sistema detesta chi emerge individualmente e fa di tutto per porlo in cattiva luce. La detronizzazione dell’individuo ha quasi assunto i contorni di uno sport nazionale.
Uno degli ultimi esempi è la campionessa paraolimpica Bebe Vio, sottoposta alla gogna su facebook per essere andata con Renzi alla Casa Bianca come rappresentante di spicco dell’individualità italiana e delle sue capacità.
L’individuo responsabile e meritevole, che diventa dunque protagonista, scatena la rabbia dei “non individui” che, mascherati nell’anonimato del web o del sistema, bollono al fuoco dei loro rancori personali, delle loro invidie e delle loro frustrazioni.
Personalmente, auspicherei che i media non offrissero più ripari di sorta a tutti costoro chiamandoli, una volta per tutte, con il loro nome: è bene infatti sapere che i furbetti del cartellino non sono dei furbetti, ma degli idioti e che gli “haters” del web non sono altro che spregevoli zucche vuote.
Mentre sto scrivendo, arriva dal telegiornale la notizia del nostro presidente Mattarella che, in seguito al caso del dj Fabo, costretto all’emigrazione forzata in Svizzera per morire con dignità, dice: “Nessun malato deve essere lasciato solo” a ennesima testimonianza di quanto la politica sia abile nell’usare inutilmente le belle parole e a profondersi in singulti da pianto greco a posteriori.
In parlamento, sono fermi da tempo progetti di legge che riguardano questo delicatissimo tema, ma le leggi sono soltanto pensate per la società che, in quanto astratta, può indefinitamente aspettare. Nel frattempo l’individuo reale e disperato, che invoca il diritto di morire con dignità, deve andarsene all’estero, unendo allo strazio della sua fine, anche la pena di sentirsi in esilio.
Pierangelo Scala