Il 9 marzo è arrivato il pronunciamento del Tribunale di Ivrea nei termini attesi dai lavoratori: la dichiarazione di fallimento
Alla fine, dopo mesi di attesa, è arrivata la buona notizia, ed è strano – segno dei tempi – che la buona notizia sia la dichiarazione di fallimento. Il fatto è che l’alternativa era il concordato preventivo richiesto dall’attuale proprietà, la belga Photonike Capital, quelli che hanno portato lo stabilimento alla chiusura. Per un lumicino di prospettiva futura si doveva dunque sottrarre l’azienda dalle mani della Photonike, che ha chiaramente dimostrato di non avere alcun interesse a rimanere in Canavese, essendo sorda ad ogni proposta alternativa poiché aveva un unico piano: chiudere e spostare macchinari, pezzi di ricambio e quant’altro altrove, magari in regioni dove vi sono incentivi per gli insediamenti, per poi spostarsi di nuovo quando non più conveniente.
Sordi agli interventi della Regione Piemonte che si è trovata davanti ad un impresa completamente disinteressata al mantenimento di un’attività che invece potrebbe essere ancora redditizia. Questa volta la regione la sua parte l’ha fatta: ha acquisito, per proteggerlo, il marchio Sandretto grazie ad un accordo con Finpiemonte, ha concesso gli ammortizzatori sociali richiesti e si è sempre resa disponibile ad incontri di verifica, ma l’azienda aveva chiaramente fin dall’inizio altri progetti. Duro difatti il commento dell’assessora Pentenero quando l’azienda annunciò nell’autunno scorso di voler chiudere e licenziare tutti: “l’azienda si dimostra poco responsabile verso i lavoratori, in primo luogo, ma anche verso le istituzioni che hanno riposto fiducia nel progetto imprenditoriale.”.
L’unica via rimasta per arginare i danni e dare un futuro allo stabilimento di Pont Canavese è rimane oggi il fallimento. Con la nomina di un curatore i beni aziendali vengono bloccati, non esce più niente dallo stabilimento (nell’ottobre scorso i lavoratori fecero un esposto alla Guardia di Finanza per movimenti in uscita di macchinari) e si indagherà fino a due anni indietro per verificare eventuali responsabilità della proprietà nel fallimento, il curatore potrà anche fare esplorazioni per possibili manifestazioni di interesse.
Si congela il patrimonio ancora esistente per sperare di recuperare le retribuzioni non percepite, ricordiamo difatti che tra i 124 lavoratori licenziati a novembre, alcuni non ricevono la retribuzione da settembre e altri addirittura dal maggio scorso, anche se la speranza di tutti è naturalmente di trovare un acquirente, di tornare a lavorare.
Lo meritano il centinaio di lavoratori rimasti per come hanno lottato e lottano per difendere lo stabilimento (ricordiamo il presidio di 120 lunghi giorni) e per la qualità dello loro lavoro. Lo meritano ed è vitale e possibile, perché, nonostante la Photonike sostenga il contrario, la Sandretto ha anche sua sostenibilità economica: con più di 30.000 macchine installate nel mondo si potrebbe dar lavoro anche solo con l’assistenza, la manutenzione e la gestione dei ricambi.
I lavoratori ci sono e sono pronti a rientrare in attività, sempre vigili sul loro stabilimento, la Fiom è con loro, la Regione Piemonte fa la sua parte, il territorio in senso ampio potrebbe fare di più, ma soprattutto occorrono imprenditori seri che vogliano mettere in pratica la famosa e trascurata “responsabilità sociale d’impresa”, cioè “quelle pratiche e quei comportamenti che un’impresa adotta nella convinzione di ottenere dei risultati che possano arrecare benefici e vantaggi a se stessa e al contesto in cui opera.”.
Ne esistono? Ce lo auguriamo di cuore per la Sandretto, i suoi resistenti lavoratori, per il territorio tutto.
Cadigia Perini