A 89 anni se ne è andato il grande attore americano
Caro Robert, anche tu dunque sei andato avanti, verso quella dimensione dell’ignoto che ci attende tutti, leggende del cinema e gente comune come noi.
E mentre scrivo “Gente comune”, ecco che scocca la freccia del ricordo immediato e il riferimento al film omologo con cui hai vinto, alla regia, il tuo primo Oscar nel 1981.
Di Oscar, poi, te ne hanno assegnato un altro alla carriera, ma non si contano i premi e i riconoscimenti che stanno nella bacheca della tua storia.
Di certo, tanto come attore quanto come regista, hai scritto sullo schermo pagine di cinema memorabile.
Eri un divo vicino al cuore della gente perché, di tutti i doni che possono connotare una persona, tu avevi quello sottile dell’amabilità.
Un divo che avremmo voluto tutti come vicino di casa, disponibile alla facilità dei contatti, che non creava distanze tra le mirabilie del set e gli spazi del quotidiano, disinvolto con lo smoking come con la tuta da giardiniere.
Come attore avevi tutto: bellezza, fascino, inevitabile ascendenza sul femminile, classe, eleganza e anche quella timidezza d’animo che ti faceva speciale. Se non ti sei fatto stordire o sviare dal tuo fascino era perché, insieme alla bellezza, avevi il dono dell’autenticità, di essere fedele a te stesso, una fedeltà che hai generato nei tuoi personaggi, scelti per dare volto alle tue idee e al tuo impegno sociale più che per cedere alle lusinghe del botteghino.
In questa direzione, alcune delle tue storie, portate sullo schermo, le hai finanziate anche personalmente.
Eri un progressista liberal, attento alla causa dei nativi americani, che hai voluto ricordare nel saluto di riappacificazione simbolica nel finale di “Corvo rosso, non avrai il mio scalpo” e anche un fautore della necessità di ristabilire e ricuperare l’ambiente naturale che ci ospita. Eri sempre tu infatti “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, il film del 1998 tratto dal romanzo di Nicholas Evans.
E chi sussurra, non impone ma propone, non pretende ma suggerisce. Recentemente ti avevo ascoltato in un’intervista dove la giornalista italiana, microfono alla mano, era partita in quarta tessendo l’elogio del tuo fascino virtuoso e tu, prontamente, l’avevi scherzosamente contenuta, prevenendola anche sui difetti che avresti dovuto confessare, difetti che non separano il divo dall’uomo comune.
E proprio, come per la gente comune, avevi vissuto anche il lato dilaniante e tragico della vita come la perdita di due dei tuoi quattro figli, dolori che nessuna fama terrena può compensare. Sapevo che uno dei tuoi hobbies era la pittura e che la esercitavi nella quiete montana della tua casa di legno nello Utah, ma non sapevo che avessi trascorso scampoli di gioventù a Firenze, studiando arte e cultura italiana.
E meno male che il pittore, che è in te, si è concesso anche alla tela dello schermo, altrimenti non avremmo potuto gioire del tuo cinema anche se, tra le cose che hai detto, una in particolare sottolinea la differenza tra il cinema di oggi e il tuo cinema già appartenente a un passato recente.
Citando “La mia Africa” hai detto che, un film come quello, oggi sarebbe giudicato stucchevole e sentimentalista in quanto la società è cambiata e si è avvitata in una spirale di cinismo e violenza.
Questo film, diretto da Sidney Pollack e tratto dal romanzo di Karen Blixen, è una storia romantica che coniuga e sintonizza spazi interiori ed esteriori dell’essere umano: Robert Redford e Meryl Streep, nei panni di Denys e Karen vivono un legame di sentimenti veri che noi rischiamo di smarrire per sempre.
Loro due, invece, si perdono e si ritrovano nel dinamismo della vita che ama. La scena in cui Denys lava i capelli a Karen fa vibrare le corde sensibili. A pensarci bene, chi di noi ha già fatto una cosa così semplice e intima in una giornata illuminata dal sole? Quante sono le cose che il cinema ci rivela come sottraibili al nostro senso di indifferenza? “Pensi mai alla morte?” domanda Karen a Denys in un’altra scena. “No, alla morte no, ma penso spesso alla vecchiaia” risponde lui.
E nel decorso della vecchiaia i sentimenti possono affinarsi e migliorare, anche se la senilità è la fase della vita dove si infittiscono i congedi. I Buddisti ci insegnano come la vita sia una successione di perdite e, adesso, noi facciamo i conti anche con la tua di perdita, caro Robert. Rimangono le inquadrature che il cinema ha confezionato per la consolazione della nostra memoria.
ll cinema, arte delle immagini in movimento che sfidano il tempo, archivio e patrimonio di bellezza e bravura come quelle di Robert Redford. Noi rivedremo i tuoi film, per stare ancora insieme, per andare più a fondo nelle storie magnifiche che ci hai regalato, per vedere il mondo come attraverso gli occhi innamorati di Denys e Karen, quando volano sui paesaggi sterminati del Kenia, nel leggero biplano che compie piroette celesti.
Sotto di loro si scompigliano i fenicotteri rosa sul lago Nakuru, galoppano zebre e giraffe, emigrano gli gnu, tra nuvole di terra e di paradiso. Grazie di tutto Robert, per la tua arte e per la tua capacità di preservare il profilo, il nome e il sogno dell’America di cui non vogliamo privarci.
Pier Le Blanc