I redattori della Fenice rispondono alla lettera aperta di Pierangelo Scala
Questo articolo è mirato a rispondere direttamente ad un nostro caro lettore, di nome Pierangelo Scala, che ha trovato il coraggio e la volontà di esprimersi ( con uno scritto da noi molto apprezzato) a riguardo delle tematiche pertinenti al carcere. In particolare deduciamo si sia interessato ai nostri articoli de “La Fenice”, in cui ha potuto leggere alcune nostre biografie, descrizioni di vita quotidiana dei detenuti, forme di pensiero ed altri argomenti più vari che ruotano attorno alla vita carceraria ed alla nostra percezione dell’esistenza da “dietro le sbarre”.
Dobbiamo anzitutto ringraziare molto la nostra redazione, che ci ha permesso di mettere a disposizione di tutti voi, liberi là fuori, i nostri scritti. Possiamo dunque far comprendere meglio cosa significa davvero vivere dentro le spesse mura di un carcere, oltre che darci opportunità di sfogare la nostra fantasia, catalizzando i nostri pensieri, anche quelli più frustranti o di natura negativa, per dar vita a manoscritti impregnati di significati ed argomenti forti e toccanti; talvolta anche con scopi catartici per molti di noi.
Uno degli obiettivi principali della redazione La Fenice è quello di poter finalmente interagire col mondo esterno, fornendo l’opportunità di riscontro reciproco, attraverso la pubblicazione dei nostri articoli sul blog del nostro sito e parallelamente sui social-network più frequentati. Ringraziamo Olivia e Varieventuali.
Venendo ora al fulcro del discorso, siamo particolarmente colpiti da ciò che Pierangelo ci scrive, poiché effettivamente corrisponde con molta probabilità alla medesima reazione che avremmo avuto noi in quel momento nei suoi stessi panni… I panni di un uomo libero che transita di fronte un istituto penitenziario, isolato dal mondo, dove dentro si ipotizza siano rinchiuse delle belve in catene, criminali efferati senz’anima, emarginati sociali destinati alla reclusione più pesante, da evitare in qualunque modo ed in ogni caso ostracizzati dal pensiero comune e dai famosi pregiudizi che riprenderemo più avanti.
Immagino sia stato spiazzante vedere quel braccio che sventolava in segno di saluto da una finestrella di una cella… Una sensazione perturbante. Bé, vi possiamo assicurare che per chi vive qui dentro è sempre bello vedere un viso nuovo, seppur sconosciuto, poiché le giornate sono infinite e così monotone… A volte ci emozioniamo per cose piccolissime, come una crostatina la domenica, un incontro con i volontari di un’associazione benefica ecc. Non possiamo sapere di chi fosse quel braccio che salutava, ma se fossimo stati noi, avremmo sicuramente fatto altrettanto nei confronti di un passante qualsiasi. L’intento è candido, puro, gentile, solamente un semplice gesto speranzoso di ricambio, per farci ricordare che abbiamo ancora un sottile filo che ci collega al mondo vero, reale, quello esterno e che con tutta la nostra speranza un giorno potremo ritornarci, chi in forma del tutto libera, chi in forma di pena alternativa, chi in semi-libertà, ma comunque tornarci, per sentirci leggeri e riempire i polmoni anche di una minima dose di Libertà.
Le spesse mura e le sbarre non solo fisiche, ma anche metaforiche che separano il carcere dal mondo esterno rappresentano una scissione dimensionale a tutti gli effetti. Divide i liberi e gli innocenti dai rei e criminali, ma spesso ci si dimentica che tutti noi qui dentro, a parte pochissimi casi eccezionali, siamo stati (e siamo ancora) dei Pierangelo. Abbiamo commesso sbagli più o meno gravi e ci distingue dai liberi “solamente” una condanna sulle spalle.
Vogliamo anzitutto dire con fermezza che molti di noi, prima di finire qui dentro hanno avuto la stessa impressione di Pierangelo, i suoi stessi pregiudizi e possiamo comprendere empaticamente il senso di stranezza e di vergogna successiva (è molto piacevole leggere queste sue parole di fine natura umana) provata dalla sensazione di ricevere un saluto da un braccio di un detenuto che si agitava fuori da una finestra di uno dei piani del carcere. Non si preoccupi affatto Pierangelo se non ha salutato, noi accettiamo e ringraziamo comunque con grande considerazione le sue parole, espresse egregiamente nel suo articolo, dove si denota un fervido interesse verso le nostre anime abbandonate, la nostra sofferenza profonda, il senso di emarginazione, di apatia, di frustrazione che proviamo per la condizione detentiva nella quale siamo costretti e per le situazioni collaterali che comportano la distanza dai nostri cari, la loro stessa sofferenza, persino quella degli affetti animali (vedi Tommaso e Laika).
Il carcere italiano non è affatto come nei film, non possiamo dire se sia meglio o peggio, dipende dai punti di vista, ma di certo possiamo affermare che la mancanza di Libertà è rappresentata maggiormente dalle costrizioni di orari (aperture e chiusure di celle, ore d’aria, orari e qualità bassa del vitto, contatti molto limitati con pochi famigliari o terze persone più care), insomma non è un film, ma un tempo sospeso, infinito, giornate sempre identiche, sentimenti a volte estremizzati, a volte profondamente repressi.
Tensione ed ansia sono all’ordine del giorno, le relazioni umane precarie, quanto le proprie convinzioni; parole come solida amicizia, fermezza nei rapporti, certezze, lealtà ecc. a volte assumono significati completamente diversi, per cause individuali, per cause collettive… Difficile da spiegare quanto la confusione sia all’ordine del giorno, quanto le persone possano dimostrarsi diverse da come sembrano, difficile ancor più viverlo che descriverlo. Qui non ci sono trame, registi ed attori… solo esseri umani sofferenti che scontano il proprio dolore e le loro pene inermi e impotenti, provandoci con tutte le forze che hanno in corpo. Ognuno di noi affronta il suo destino, accomunandosi più o meno agli altri, con destini simili al suo; oppure vive isolato, sceglie il sonno anziché l’attività, lascia che la depressione prenda il sopravvento, oppure ancora preferisce mettere in atto agiti violenti e ribelli per sfogare il dolore.
Per concludere, caro Pierangelo, vorremmo infine dire che (come fece notare il noto illuminista italiano Cesare Beccaria) le pene che i detenuti hanno obbligo di scontare devono fungere da esempio per i rimanenti cittadini, ma devono soprattutto garantire la rieducazione dei carcerati. Tuttavia, costoro, una volta al di fuori da queste quattro alte mura di cemento, conosceranno un mondo diverso da quello oscuro che frequentarono nella loro vita precedente; per cui è necessario che le carceri stesse si impegnino nella proposta di attività produttive e rieducative, che facciano nascere e crescere in loro l’idea di un possibile e concreto cambiamento del loro essere.
Siamo tanti, siamo uomini come tutti voi e ricordiamoci sempre che:
“C’è sempre una vittima prima di un delinquente. Amaci di più se sai che commettiamo sbagli,
perché se guardi un quadro solo da lontano, rischi che ti perdi tutti i dettagli.”
Michelangelo D (Uomo Ombra)
Angelo S.
Diego T