L’Anpi ha scelto ancora una volta di difendere la Costituzione dagli attacchi che vorrebbero modificarla. Lo fa in piena autonomia. Al suo fianco vi sono comunque autorevoli costituzionalisti, alcune forze politiche e molta società civile.
Il dibattito sul referendum per la riduzione del numero dei Parlamentari è rimasto sino ad ora sotto traccia, oscurato dai problemi della pandemia, ma anche da chi vorrebbe sfruttare l’indignazione popolare per la cattiva politica (come se tagliando a metà essa potesse migliorare) e per gli imbarazzi dei componenti il Governo, tentennanti alcuni per il No, poi passati al Sì per mantenere la traballante governabilità.
E intanto la legge elettorale che era stata promessa in cambio del Sì latita… Italia, Paese di promesse mancate…
Sfruttare la credulità popolare con i facili slogan sul risparmio non depone a favore di una classe dirigente matura…
Consapevoli, lo abbiamo sempre detto, che la Costituzione non è di per sé immodificabile, riteniamo però i cambiamenti devono essere tali da conservarne alcuni tratti fondamentali: la divisione dei poteri, la rappresentatività degli elettori, in sostanza la democrazia.
La sezione ANPI di Ivrea e Basso Canavese contribuisce alla campagna referendaria con quotidiani interventi che spiegano le ragioni del NO.
“Una legge improvvisata e opportunistica. L’ANPI è per il NO e realizzerà iniziative in autonomia”
Credo modestamente che bene faccia l’Anpi nazionale a pronunciarsi per il NO al referendum, agendo però in autonomia e senza aderire ad alcun Comitato. Decisione saggia, che tiene conto della lunga e spiacevole scia di contestazioni nell’analoga situazione del 2016, quando un coacervo di sigle, insulti, distinguo, tessere strappate la coinvolsero. L’Anpi avrebbe dovuto (col senno di poi) essere voce alta e autorevole nella difesa della Costituzione, senza rischi di fraintendimenti e di sospetti riguardo i rapporti con i Partiti. Questa volta l’Anpi esercita il suo ruolo morale nel modo più chiaro: la Costituzione non si tocca. Punto e basta.
Ma che cos’è questo ennesimo referendum?
In sostanza, si tratta ancora una volta di quella voglia di togliere di mezzo la Costituzione che ormai da anni serpeggia fra i “poteri forti” del Paese. “Le Costituzioni dei Paesi mediterranei concedono troppi diritti” aveva sentenziato la potente Banca J.P.Morgan in un suo rapporto. E quindi dagli ad abbattere le protezioni (poche) di cui godiamo noi Cittadini. Piacerebbe, a costoro, ridurci tutti come gli Americani: senza servizi sanitari, senza Scuole pubbliche funzionanti, in balìa di esose Assicurazioni e privatizzazioni sempre più diffuse.
Lo abbiamo sperimentato anche in Italia, con le migliaia di morti per pandemia, con una Sanità che in certe Regioni, come la Lombardia, aveva ceduto ai privati la maggior parte delle case di cura. Lo sperimentiamo già ora, tutti noi, quando abbiamo necessità di una visita medica o di un intervento, e siamo costretti a ricorrere ai Centri Medici a causa di attese bibliche nelle Asl. Ovviamente per chi se lo può permettere: gli altri si rassegneranno ad aspettare anni. Lo viviamo già oggi nelle Scuole, dove strutture talvolta fatiscenti, povere di mezzi e tecnologia, con un corpo docente ridotto e mortificato, fanno miracoli ma potrebbero in futuro non reggere di fronte alle Scuole private frequentate dalle classi più abbienti.
Anche l’insegnamento a distanza, che ha preso il via con il lockdown, si scontra con le difficoltà e le mancanze di mezzi: un solo computer per famiglia (quando c’è), spazi ristretti e abbandono scolastico; una tendenza in linea con il solito modello americano di Scuole “ghetto” per gli Ispanici e i Neri. Una Scuola rinnovata? Figuriamoci: fra pochi giorni la sua riapertura mostrerà purtroppo l’insipienza di uno Stato che non sa né prevedere né organizzare (e ancor peggio se governasse la destra!). Pensate che, diminuendo i parlamentari, chi resterà sarà più efficiente? Niente affatto. Invece di tagliare, allora, dateci la possibilità di scegliere onorevoli migliori!
Non ci sentiamo tutti un po’ pecore tosate ad ogni occasione? Gli aumenti toccano sempre, lo sappiamo benissimo, ai salariati, ai “poveri”. Per chi se lo può permettere (per censo, disponibilità economica e lobbystica) ci sono l’evasione fiscale e i condoni mascherati con nomi fantasiosi.
Chi dovrebbe ovviare, legiferare bene, rappresentarci, spesso non è all’altezza di farlo. Non esistono più i luoghi di formazione politica, sociale, economica, le scuole di partito, cioè quegli spazi in cui, crescendo dal basso, a contatto coi problemi reali, con l’esempio degli anziani e l’entusiasmo dei giovani, si formavano con lunghi tirocini le classi dirigenti del futuro. Un “onorevole” era il frutto di un’intera comunità, e ad essa rispondeva. Chi sceglie invece, oggi, un parlamentare? Un sondaggio on-line? Gli amici degli amici degli amici? Le cordate lobbystiche?
E se il Parlamento, oggi, è formato da tali elementi, spesso incapaci e inaffidabili, possiamo pensare che tagliandone via una metà i rimanenti diventerebbero di colpo migliori? Assolutamente no! Resterebbero, sia pure in numero ridotto, gli stessi di prima, incollati ancor più alle poltrone. Avremmo, tutti noi, ceduta una metà della rappresentanza parlamentare al costo di un caffè all’anno. Sai che affare!
Otterremmo, con un tale referendum, solo l’acre, vendicativa soddisfazione di colpire gente che ci è antipatica per definizione. “Piove, governo ladro”, senza significativi miglioramenti (anzi, con strutture ridotte e inadeguate).
La campagna pubblicitaria, martellante, persin giusta, iniziata anni fa con “mani pulite”, le inchieste sulla casta, le indignazioni, i cortei, i movimenti hanno prodotto un disgusto profondo per le classi dirigenti politiche (anche contro coloro che non se lo meritavano). Nascono dagli spettacoli di un comico, le voglie di giustizialismo realizzate da un informatico come esperimento sociale (mal riuscito). E siamo all’ennesimo referendum costituzionale che ci priverebbe di una parte notevole della nostra (nostra, di noi) rappresentanza. Non avremmo, cioè, nemmen più la possibilità di presentare alle elezioni qualche persona di nostra fiducia, uno del nostro quartiere, un nome amico, fidato e conosciuto. I Partiti, che sono il sale della democrazia (se solo litigassero di meno fra loro) potrebbero tornare ad essere i nostri riferimenti, scegliendo i candidati di cui abbiamo fiducia. Ne conosciamo i nomi, li stimiamo: magari arrivassero in Parlamento. Se vincerà il SI ce li potremo scordare.
La rappresentanza non è una parola vuota: sono persone, rapporti, fiducia. Ricordo ancora quando, fra noi operai dell’Olivetti, votammo un nostro compagno che divenne Onorevole. Il dialogo, il confronto, il pungolo con lui era continuo. Lui ci rappresentava.
Fra poco avremo (speriamo di no) un Parlamento dimezzato, molto più lontano dalle nostre istanze.
Votare NO, ridurre il quorum per entrare in Parlamento ci permetterebbe invece di avere al suo interno, fra i sacri seggi, gente che conosciamo direttamente e di cui ci fidiamo. Al costo di un caffè all’anno. Non vi pare un bel vantaggio?
Dalla pandemia (la cui seconda ondata ci aspetta all’angolo) non siamo usciti affatto migliori; sarà difficile ottenere dalla politica un reale cambiamento, ma almeno manteniamo le precedenti conquiste, difendiamo i nostri diritti, ampliamoli, cerchiamo di essere di pungolo ai legislatori. Dire di NO al referendum è una di quelle azioni che ci permettono di ripartire meglio, dando un’ulteriore possibilità, a noi tutti, di avere dei rappresentanti in Parlamento degni di tale nome.
Mario Beiletti, presidente Sezione Anpi di Ivrea e Basso Canavese