Un gruppo di 20 ragazze nigeriane in una classe dell’istituto Cena sezione Turismo per un progetto coraggioso
«Prof, ho parlato più inglese questa mattina che in tutti questi anni di scuola».
Non è detto che la percezione del tempo sia realistica, però ecco raggiunto l’obiettivo: obbligarli a parlare in inglese.
Be’, uno degli obiettivi, e neppure il più importante, allo sguardo di insegnanti preoccupati.
Le ragazze sono tutte nigeriane. Sfuggite alla tratta e quindi alla prostituzione, sono state accolte in una struttura a Montalenghe. Ognuna fra loro ha visto cose che i nostrani adolescenti nemmeno immaginano, e certo non ne vogliono parlare. Invitate in un istituto tecnico per il progetto coraggioso di dare aria alla scuola spingendola fuori dalle aule dentro il mondo, oggi si sentono libere, ridono forte come sanno solo loro, tentano di parlare in italiano, si inceppano, consultano appunti a matita su block notes.
Loro, le Nigeriane, hanno voglia di uscire, incontrare persone, chiacchierare con qualcuno, capire questa parte di mondo.
Loro, gli studenti di Ivrea, si esercitano a parlare la lingua straniera. Poi, anche se non sempre lo sanno, hanno sete di conoscenza, urgenza di gettare uno sguardo oltre il piccolo angusto mondo nel quale gli tocca vivere, scavalcare i pregiudizi che li tengono in ostaggio.
Intanto hanno studiato dov’è la Nigeria, e com’è, che non tutta l’Africa è uguale, che Africano non è uguale capanne in mezzo al nulla e anelli al naso, ma spesso città affollatissime e caotiche, e multinazionali e quindi sfruttamento, disuguaglianze, ricerca di dignità. Bellezza.
Poi, il giorno fatidico ‘sta ventina di scomposte ragazze li han subito sbacaliti, gli studenti eporediesi: chiassose, chiacchierone, teste colorate perlopiù fitte di treccine magnificamente artefatte – da loro –, restie a sedersi e seguire le indicazioni delle educatrici, invadenti, dominatrici della scena. Parlano, e parlano, e parlano.
I nostri avanzano, timidi. Una domanda incerta, il timore di sbagliare parole, un sorriso imbarazzato con lo sguardo obliquo al prof quasi a chiedere «che le sembra, va bene?». E’ un attimo capire che le loro interlocutrici non sono fighette attente alla cadenza oxfordiana (parlerebbero il loro stonato “broken english”, se fosse permesso, ma oggi si parla come a scuola), ed è solo un altro attimo provarci e buttarsi e godersela, questa mattinata strana.
Bastano quei cinque, dieci minuti. E poi guardarli diventa una carezza per il cuore.
Di nuovo e ancora, oggi è ufficiale: bando alle ciance, stop ai discorsi. Conoscenza batte pregiudizio.
Questa, finalmente, è scuola.
I.S.