Quando “tu” diventi “gli altri”

E’ un giorno come un altro. L’orario è quello della pausa pranzo, il luogo il dehor della stazione ferroviaria di Ivrea.
Tu sei un’insegnante di una scuola primaria, che aspetta il pullman per ritornare a casa dalla sua famiglia insieme ad alcune colleghe. Senti qualcuno afferrarti da dietro con forza e, per un momento, pensi a uno scherzo, ma poi capisci che è un uomo. Un uomo che non conosci, Un  uomo infuriato, che prende a colpirti soprattutto al volto, con una raffica di pugni.
Perdi molto sangue, forse dal naso, hai paura, dolore, non capisci che cosa stia succedendo. Intorno a te ci sono moltissime persone, il dehor è pieno di gente a quell’ora ma  non una persona, una sola, cerca di venirti in aiuto. “Aiuti lei la sua collega” senti dire a uno dei tanti uomini che assistono alla scena a una delle colleghe che erano con te e che cercava di chiedere aiuto..
E che si mescolano a quella moltitudine lontana e immobile. Nessuno cerca di fermare l’uomo, nessuno prova a strapparti alla sua furia, nessuno prende in mano il cellulare per chiamare la polizia. Lo farà il titolare del bar della stazione, che ti sente urlare.
Dopo, quando tutto sarà finito (finito?) saprai che l’uomo è una persona disturbata, o conosciuta come tale, che il giorno prima ha compiuto lo stesso gesto nei confronti di una educatrice del CISS di Chivasso. Lo vieni a sapere perché la notizia la riporta un giornale locale, che afferma, tra le altre cose, che l’uomo “è stato fermato“. Capisci che quell’affermazione è falsa, perché se così fosse lo stesso uomo non avrebbe potuto aggredire te, ventiquattro ore dopo e pensi che sarebbe bene saperlo, smentire quanto scritto e capire perché, se è stata una svista o chissà.
Intanto hai fatto denuncia, con il referto del Pronto Soccorso dove sei stata medicata. Ti dicono che l’uomo ora è ricoverato nel reparto  Psichiatria dell’Ospedale di Ivrea e ti chiedi cosa sarà di lui “dopo“. Perché in realtà non è lui, o lui soltanto, a occuparti i pensieri. Passano le ore, passeranno i giorni. Ritornerai alla tua vita normale. O forse, no.
Perché insieme al referto, piantati nel petto, hai dei ricordi e almeno due sentimenti.
I ricordi sono quelli di un gesto (che ti ha cambiato per sempre la vita), di persone vicine (che sono rimaste ferme a guardare, ad aspettare, insieme a tante, troppe) di quella frase ( Aiuti lei la sua collega). 
I sentimenti sono la paura (che succeda ancora, che non ti muoverai più tranquilla come prima) e l’incredulità. Per esserti ritrovata sola, completamente sola, in mezzo a tante persone.
Allora ti viene in mente che storie come questa ne avevi già incontrate. Scritte in un articolo, raccontate alla tele, ascoltate alla radio. Riguardavano “altri“. Oggi invece l’altro sei tu.
E fai fatica, una fatica immensa a ritrovare la speranza, la fiducia. Quelle che insegni ogni giorno ai tuoi bambini sui banchi di scuola con parole che da oggi non ti basteranno più.
M.R.