In Canavese si registra un aumento delle assunzioni, ma questo dato va bilanciato con la progressiva e costante diminuzione dei contratti a tempo indeterminato. Da cinque anni, inoltre, decresce il numero di aziende sul territorio. Agricoltura, commercio e costruzioni i settori penalizzati; turismo e servizi in crescita. Il futuro è del lavoro a termine?
Giovedì 19 aprile, nella sede di Confindustria Canavese, sono stati presentati i nuovi dati del lavoro in Canavese. Lo studio, più elaborato di tutti quelli emersi sin ora, ha visto la collaborazione degli archivi e dei registri di Confindustria Canavese, Agenzia Piemonte Lavoro (che raccoglie i Centri per l’Impiego piemontesi) e Camera di Commercio di Torino.
A prendere in mano il comunicato stampa di quella giornata la tentazione è quella di cedere all’ottimismo. Si legge, infatti: «si registra una performance positiva per l’occupazione, sono in aumento le aziende che hanno assunto nel periodo di tre anni (+20,3% dal 2014 al 2017)». Eppure, i dati relativi alla natimortalità delle imprese (ovvero quande aziende si sono iscritte o hanno cessato il proprio rapporto con la Camera di Commercio di Torino) evidenziano chiaramente come le cessazioni abbiano, negli ultimi 5 anni (dal 2013 al 2017), superato di gran lunga le iscrizioni: nel 2017 si registrano, infatti, 2.106 cessazioni e 1.184 iscrizioni.
Non a caso il Canavese* registra, dal 2012 ad oggi, tassi di crescita delle imprese negativi, assestandosi nel 2017 a -0,65% (addirittura -0,90% per l’Eporediese).
In sostanza: ci sono più aziende che chiudono di quelle che aprono, ma contemporaneamente c’è stato un lieve aumento delle assunzioni. Sembra quasi un paradosso, ma a sviscerare i dati si capisce meglio che non è così.
Più “contrattini” equivalgono a più assunzioni
Le assunzioni totali nel Canavese sono state 407.109 nel 2017; Ciriacese, Chivassese e Calusiese registrano valori positivi, ma l’area che più tra tutte soffre ancora considerevolmente è l’area eporediese: le assunzioni sono state 19.094, pari ad un incremento rispetto al 2016 del solo 0,3%. Parlare di assunzioni è tuttavia un’espressione un po’ troppo vaga: un contratto indeterminato e un tirocinio sono considerati a tutti gli effetti delle assunzioni, ma è evidente come non possano essere messi sullo stesso piano. Per ovviare a questo inconveniente è stato introdotto un nuovo metodo d’indagine definito “Full Time Equivalent” (FTE) che attribuisce alle varie tipologie contrattuali un valore numerico in riferimento all’“importanza” del contratto. Così facendo, delle 407.109 assunzioni Canavesane solo 96.130 risultano FTE. Cosa significa? Significa che la maggior parte di queste assunzioni consistono in contratti da poche ore, magari part-time e non a tempo indeterminato.
La conferma arriva, infatti, dalle percentuali relative ai contratti a tempo indeterminato e apprendistato (che figurano come a tempo indeterminato, anche se nella realtà possono essere interrotti prima che scatti l’indeterminato). Dal 2016 al 2017 si è passati, nell’Eporediese, dall’11,8% al 10,6% (-1,2%). Anche tutte le altre quattro realtà canavesane registrano valori fortemente negativi (-3,6% nel Calusiese, -4,6% nel Chivassese e -0,8% nel Ciriacese).
Ci fossero ancora dubbi sul fatto che i dati sulle assunzioni siano trainati da “contratti-spot” o a breve termine è possibile prendere in esame i tirocini attivati nel 2017 attraverso i Centri per l’Impiego. Ed ecco che relativamente ai quattro CPI canavesani si è passati dagli 811 tirocini del 2016 ai 997 del 2017 (+186), 402 dei quali attivati dal CPI d’Ivrea.
Il tessuto imprenditoriale: più turismo e servizi, meno agricoltura e commercio
Il territorio canavesano è comunque un territorio in trasformazione. I dati del 2017 confermano una tendenza macroscopica assodata di come sono mutate le aziende e su quali attività si decide oggi d’investire. Il confronto dei valori dal 2009 al 2017 non lascia adito a dubbi: il Canavese, nel suo insieme, ha perso e continua a perdere tessuto imprenditoriale negli ambiti dell’agricoltura, dell’industria, delle costruzioni e del commercio, mentre migliora di anno in anno in servizi di alloggio e ristorazione, servizi orientati alle imprese e istruzione, sanità e altri servizi pubblici. Pur con tutte le sue sfaccettature (che sarebbe impossibile riportare interamente), il territorio conferma la sua vocazione al turismo e ai servizi legati alle imprese e alle persone. Non a caso crescono le agenzie di viaggio e di noleggio, ristoranti, gelaterie, pasticcerie e altre strutture ricettive, attività sportive, d’intrattenimento e divertimento (ivi comprese le sale da gioco), i servizi di assistenza sociale (non va dimenticato che questo territorio è sempre più anziano) e l’istruzione.
Che questo territorio possa puntare sul turismo e sui servizi dimenticandosi dell’agricoltura e del commercio è una scommessa tutta da giocare, ma i dati, al momento, parlano chiaro.
Il futuro è del lavoro a termine?
Dopo tanti anni trascorsi a vivere negativamente la crisi economica fa bene aggrapparsi a quei pochi dati incoraggianti che, se non altro, motivano ad andare avanti e migliorare, ma occorre fare attenzione o si rischia di perdersi dietro ai dati quasi come se fossero palliativi di una realtà con ancora troppe criticità. Basti pensare che i 4 CPI del Canavese hanno registrato 5.918 “percettori”, ovvero persone che hanno beneficiato, nel 2017 del NASpI (indennità di disoccupazione), di cui quasi 2.000 nel solo territorio eporediese. Sorprende, inoltre, che di decine di fogli di dati presentati, non uno faccia riferimento ai licenziamenti o alla fine dei contratti di lavoro, quasi come se si volesse vedere il bicchiere mezzo pieno.
La tendenza è comunque chiara: ci sono meno imprese, più diversificate e più persone assunte con contratti “instabili”. Ma si può ragionevolmente pensare che un futuro di questo genere sia sostenibile? Se la ripresa non viene a vantaggio della qualità della vita delle persone, non si capisce bene a cosa potrebbe servire.
Andrea Bertolino