Il terzo incontro della Palestra Politica dello Zac, tra partiti tradizionali, mutualismo e cooperativismo: può esserci vita dopo i partiti novecenteschi?
Vivere nella crisi della democrazia significa vivere nella crisi dei partiti. Se è vero che i primi partiti sono sorti in concomitanza con il consolidamento della democrazia rappresentativa è chiaro che tra i due elementi ci debba essere un qualche legame e che all’indebolirsi dell’uno segua, a ruota, anche l’altro.
Ma è nato prima l’uovo o la gallina? È la crisi della democrazia che sta determinando la crisi dei partiti o viceversa? Difficile stabilirlo, ma rimane fuori discussione che i partiti siano stati e continuino ad essere i soggetti privilegiati della dialettica politica e che questo compito non debba essere affidato a uomini soli.
C’è chi pensa il contrario, ma Antonio Floridia non è tra queste persone. Il responsabile delle Politiche per la Partecipazione della Regione Toscana è venuto, venerdì 19, allo Zac! d’Ivrea in occasione del terzo ed ultimo (al momento) incontro della Palestra Politica.
«I partiti hanno sempre avuto una cattiva fama nel pensiero politico; sono sempre stati visti come una fazione che si contrappone al bene comune». Che i partiti non godano, oggi, di buona reputazione è un dato conclamato, ma il problema non sembra essere tanto una questione d’immagine, quanto di significato, di contenuto e di metodo.
Per capire a fondo la natura dei partiti è importante, innanzitutto, comprendere come questi si siano formati. Floridia si è affidato alla teoria delle fratture sociali del politologo e sociologo norvegese Rokkan Stein per spiegarne la loro genesi. Secondo questa teoria la nascita dei sistemi di partito nelle democrazie occidentali si sarebbe innestata su quattro differenti fratture sociali: due fratture, quella fra centro e periferia e quella fra Stato e Chiesa, si sarebbero generate dalle rivoluzioni nazionali; altre due, quelle fra interessi agrari e interessi industriali e quella tra capitale e lavoro sarebbero state prodotte dalla rivoluzione industriale. A ciascuna di queste fratture corrisponde la potenzialità di creazione di un partito politico. L’idea di fondo è che la frattura sociale generatrice della dicotomia “destra-sinistra” sia oggi venuta meno, trascinando con sé le sorti dei partiti tradizionalmente schierati su questi due fronti.
La genesi dei partiti politici potrebbe essere declinata e interpretata in tanti altri modi, ma a prescindere dalla loro origine Floridia ha poi tracciato una serie di punti fondamentali che hanno caratterizzato la “forma partito” nel secolo appena trascorso.
I partiti hanno avuto innanzitutto la funzione di agevolare l’integrazione sociale; i cittadini non possono presentarsi atomizzati, ma necessitano di momenti aggregativi indispensabili per poter avanzare richieste organizzate e per poterle necessariamente mediare con altre “parti”. Che oggi la mediazione politica venga scambiata come “inciucio” è un dato di fatto, ma un dato di fatto errato. Non può esistere, infatti, sede democratica che non contempli la mediazione, il compromesso come “patteggiamento” necessario per ottenere dei risultati politici.
Un secondo punto caratteristico dei partiti è stata la formazione e la socializzazione politica. Non è sufficiente “selezionare” una classe dirigente: la si deve, innanzitutto, formare. Non si può pensare di entrare in politica dall’oggi al domani o essere in grado di amministrare una città senza prima aver appreso alcune dinamiche e competenze proprie della politica. Il politico esercita una professione e non un mestiere. La professione contempla una dimensione pubblica, “una pubblica manifestazione d’un sentimento religioso, di un’opinione e simili”, stando alla sua lettura etimologica; il mestiere, invece, è “l’esercizio di un’arte meccanica, manuale che si esercita per guadagno”. Il partito dovrebbe avere la funzione di formare i politici, nonostante oggi non sia più tanto così. Un terzo elemento è la costruzione dell’identità collettiva. Prim’ancor che il programma elettorale, i membri di un partito si identificavano con quest’ultimo perché condividono una visione della società. Il partito dà una cornice comune entro la quale sentirsi parte di un gruppo: le divisioni programmatiche venivano dopo. L’ultima caratteristica dei partiti identificata da Floridia è quella di essere stati rappresentanza e politicizzazione delle grandi fratture sociali e di essere stati i principali canali di partecipazione politica.
Del passato e del presente dei partiti si è avuto modo di parlare durante la serata, ma non del loro futuro. Questa è forse la nota di demerito di un incontro altrimenti utile e interessante.
Cosa rimane, infatti, oggi delle forme partito? La disaffezione ai partiti politici tradizionali è ormai un dato di fatto conclamato, al punto tale che anche dal punto di vista lessicale si cerca di nascondere la parola “partito”, quasi che si provi un qual certo pudore a pronunciare questo termine. Il professor Floridia non ha saputo andare l’oltre il “si dovrebbe” impersonale, senza provare a disegnare un percorso, a individuare il o i soggetti sociali che potrebbero ridare nuovo impulso ai partiti.
L’unico spunto di riflessione è stato quello legato alle nuove forme di mutualismo. «Il mutualismo è un tema che sta tornando di grande attualità. Mutualismo e cooperativismo servono per resistere». Purtroppo, come ha sottolineato Floridia, al momento le esperienze mutualistiche sembrano essere confinate all’esperimento, all’incapacità di darsi un significato politico in grado di riempire quel vuoto lasciato dalla riduzione dei partiti novecenteschi.
Da un lato, quindi, abbiamo i partiti tradizionali in crisi, alcuni dei quali, tentando di adattarsi alle moderne forme di aggregazione, producono più uomini e donne dedite alla conservazione del potere che il raggiungimento di una visione della società. Dall’altro lato troviamo modelli associativi nascenti che cercano di “tappare” quelle fratture sociali o ambientali che la politica non riesce (o non vuole) risolvere, ma che non sembrano avere (ancora) la forza materiale e intellettuale per fare un salto di qualità politico.
La “verità” potrebbe trovarsi nel mezzo, se non fosse che esiste l’alto rischio che i modelli associativi vengano “assorbiti” e diventino “strumenti di consenso” di strutture politiche meglio organizzate.
La discussione meritava di essere approfondita; la Palestra Politica dello Zac! per ora è finita, ma sul finale Andrea Gaudino e Lucia Panzieri hanno manifestato interesse a proseguire durante la stagione autunnale.
Si fa sempre in tempo a riprendere la discussione.
Andrea Bertolino