“Non ci appare stupefacente che in tanti secoli l’umanità che ha fatto tanti progressi in tanti campi delle relazioni sociali non sia riuscita a immaginare nulla di diverso da gabbie, sbarre, celle dietro le quali rinchiudere i propri simili come animali feroci?” Gustavo Zagrebelsky
Ripensando ai pestaggi avvenuti nel carcere di Ivrea nella notte tra il 24 e il 25 ottobre è inevitabile chiedersi, una volta ancora, che senso ha nel 2017 l’esistenza del carcere così come è ora. Esattamente così come era 200/300 anni fa. L’esatto opposto del rispetto dei diritti civili per i quali tanto ci battiamo. Il carcere è il “luogo chiuso” per eccellenza dove, una volta entrati, ha inizio un meticoloso processo di spoliazione, di violenze e privazioni che, per tutta la durata della pena, resteranno le uniche costanti di una crudele quotidianità. Secondo la Costituzione la principale funzione della pena dovrebbe essere educativa e dovrebbe rispettare la dignità dell’uomo “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. In Italia l’alta percentuale di recidive (70%) ci dice chiaramente che il sistema carcerario non raggiunge l’obiettivo della rieducazione e contraddice nello stesso tempo l’opinione giustizialista di chi sostiene che il carcere riduce il crimine, proprio perché ben il 70%, terminata la reclusione, ricomincia a delinquere. In Europa, la Svezia registra il tasso più basso di recidive (30-40%) sostituendo la detenzione con pene non carcerarie e lavoro all’esterno.
Solo per il 10% della popolazione carceraria che risulta essere realmente pericoloso possono essere necessarie strutture protette ma civili, per gli altri si possono considerare pene alternative, come suggerisce Luigi Manconi parlando del suo libro Abolire il Carcere, che possono essere lavori socialmente utili, pene pecuniarie, (giustizia ripartiva) come avviene in Austria, Gran Bretagna, Svizzera, Belgio. Si pensi che in Francia e in Gran Bretagna solo il 24% dei condannati sconta la pena in carcere, in Italia l’82,6%.
Le violenze avvenute a Ivrea non sono fatti isolati, sono la triste scansione del tempo carcerario dove troppo spesso il debole diventa capro espiatorio di compagni di cella o di guardie carcerarie, chi non è protetto muore, altro paradosso di un’istituzione che dovrebbe garantire la sicurezza. Circa 160 detenuti muoiono ogni anno in carcere vittime di violenza e circa un terzo suicidi. Last but not least questo orrore ci costa 125 euro al giorno a detenuto, quasi 3 miliardi di euro.
E’ necessario davvero pensare, elaborare visioni alternative, e, a questo proposito, si potrebbe partire dal decalogo proposto dagli autori del libro Abolire il Carcere:
1) salvo per le violazioni più gravi di diritti e interessi fondamentali, depenalizzare tutto ciò che è possibile;
2) cancellare la “pena di morte occulta” (come Papa Bergoglio ha definito l’ergastolo) e ridurre le pene detentive;
3) diversificare il sistema delle pene, rendendo il carcere un’extrema ratio cui ricorrere solo nei casi di eccezionale gravità;
4) concentrare il processo penale su fatti realmente meritevoli di sanzione, anche attribuendo la capacità di estinguere il reato ad azioni (riparative, risarcitorie, ecc.) prestate dall’imputato in favore della vittima o della collettività;
5) ammettere la custodia cautelare solo in presenza di spiccata pericolosità dell’imputato, imponendo negli altri casi misure non detentive, di natura interdittiva, prescrittiva, pecuniaria;
6) potenziare al massimo le alternative al carcere, così da offrire a ogni detenuto una reale opportunità di reinserimento sociale;
7) garantire i diritti fondamentali dei detenuti e superare il “carcere duro” e i vari circuiti penitenziari differenziati;
8) umanizzare il carcere per quanto riguarda i luoghi e le funzioni che sopravviveranno alla sua abolizione;
9) mai più bimbi e minori in carcere: per questo alle madri di bambini sotto i 10 anni vanno riconosciuti sempre i domiciliari o l’assegnazione a case-famiglia e istituti analoghi;
10) dopo l’effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, si deve garantire che nei confronti degli autori di reato affetti da disagio psichico, le misure di sicurezza detentive siano sostituite con altre finalizzate alla riabilitazione e alla cura.
Per far sì che queste proposte possano un giorno diventare realtà dobbiamo tutti tornare a partecipare. Il presidio davanti al carcere di Ivrea del 13 novembre, organizzato da alcuni Centri Sociali è stata la prima iniziativa pubblica , è necessario che ne seguano altre e che l’obiettivo sia trasformare quella che sembra ancora oggi un’utopia in realtà, come fece Basaglia nel 1978.
Anche dai nostri bui orizzonti il sole dell’avvenire può ancora sorgere… dipende da noi.
Olivia Realis Luc