Nonostante le progettualità e le risorse impegnate per la candidatura Unesco e l’inserimento nella Lista del Patrimonio Mondiale di “Ivrea, città industriale del XX secolo”, lo spettacolo dei luoghi olivettiani rimane indecoroso, avvilente, e dimostra probabilmente una incapacità di base delle dirigenze della città a creare bellezza, armonia, attrazione.
“Arrivando in treno da Torino, non si ha l’idea di trovarsi in una ex capitale del design industriale. Un nulla inquietante e incantato prevale. Ad eccezione di una serie di cartelli esplicativi sbiaditi lungo la strada principale della città, ci sono pochi segni che indicano gli edifici simbolo.“, scrive un impietoso, ma realista, Nikil Saval sul New York Times nel suo bel reportage su Ivrea e Olivetti intitolato “Utopia, Abandoned“.
La situazione è proprio come l’ha percepita e raccontata il giornalista americano. Ed è quello che provano i visitatori e gli eporediesi più attenti.
L’inaugurazione della targa Unesco, un’occasione perduta.
Il 7 giugno scorso, a un anno dal riconoscimento Unesco, vi è stata la grande cerimonia di presentazione della targa Unesco alla portineria del pino, la principale delle Officine ICO, in via Jervis. Il programma della giornata era molto ricco e ha visto la partecipazione di un bel parterre de rois: dagli esponenti politici a tutti i livelli istituzionali agli imprenditori, dai rappresentanti Unesco alla soprintendenza delle belle arti e del paesaggio ai proprietari degli immobili. Solo un settore non era rappresentato: i lavoratori e le lavoratrici. Fra gli invitati ai saluti istituzionali infatti la squadra Unesco non ha pensato di invitare i sindacati metalmeccanici, che pure hanno avuto un ruolo importante nella storia Olivetti. Dimenticando che Ivrea è “Città industriale del XX secolo”, perché in migliaia dentro quegli edifici hanno fresato, tornito, ingegnerizzato, sviluppato, progettato, scritto, tradotto, riparato. C’era invece Confidustria, a conferma che da più parti si vuol fare passare l’idea che l’organizzazione degli imprenditori rappresenti tutto il mondo del lavoro (sic).
Ma tralasciando le rivendicazioni sindacali, che ci stanno perché Olivetti aveva una sua valenza anche nelle relazioni industriali, torniamo al tema della capacità di Ivrea, della comunità odierna, di essere città della sperimentazione e della ricerca della bellezza, della cultura, sociale. Questa capacità ad oggi non si vede, se non in iniziative private isolate come “Invisibile Ivrea“, il bel progetto di riqualificazione urbana di Alessando Chiarotto fortunatamente accolto dall’amministrazione comunale. Come è mancata fin dal principio del percorso, e tuttora, la capacità di coinvolgere la popolazione, la città nel suo insieme. Alla data del riconoscimento ufficiale, luglio 2018, si sarebbe dovuto organizzare una bella festa popolare, in via Jervis, dove tante e tanti di Ivrea, da tutt’Italia, dal mondo, per anni e anni ogni giorno hanno tenuto vivi quei luoghi di lavoro e socialità. Il coinvolgimento della popolazione è raccomandato dall’Unesco, perché l’esperienza insegna che un “patrimonio” non viene adottato da tutta la cittadinanza le possibilità di svilupparsi, durare nel tempo e avere ricadute sul territorio sono più limitate.
L’abbandono da abbandonare
Altro sintomo preoccupante per il futuro di Ivrea Unesco (ma di Ivrea in generale) è l’abbandono dei luoghi, così evidente da far male. L’incuria, la sporcizia che li avvolge. E si parla di angoli sperduti fuori della core zone Unesco, no. Parliamo del cuore della zona Unesco, proprio di fronte alla targa, di fronte alla portineria del pino, alle Officine ICO. All’inaugurazione del 7 giugno, bastava girarsi per venire proiettati in un altro mondo, fatto di erbacce alte quanto un bambino, di sporcizia atavica, di abbandono. Mentre accanto alla targa, sotto il pino, si sono costruite tre graziose aiuolette, gli organizzatori, il Comune, l’Olivetti, Confindustria, nessuno ha pensato di destinare una piccola quota del generoso budget della manifestazione per far fare un giro di tagliaerba e ramazza davanti a quello splendido complesso del Centro dei Servizi Sociali (punto 2, della mappa Unesco sul sito “Ivrea Città Industriale del XX secolo”, secondo solo alle Officine ICO). Ad oggi la situazione è sempre la stessa, anzi naturalmente peggiorata. Lo testimoniano le foto al fondo dell’articolo scattate a fine agosto. Le erbacce crescono rigogliose, la sporcizia del tempo anche, vi sono detriti abbandonati di vecchi lavori. Ma intanto arrivano visitatori, non pochi gli stranieri, si avvicinano alla targa accanto al pino, leggono il totem con le motivazioni del riconoscimento Unesco, poi si guardano attorno in cerca di altro, sbirciano dentro la portineria, ma non trovano alcuna informazione su possibili visite ai luoghi Unesco, sul MAAM, l’Archivio Storico, la mostra dei 100 anni di Olivetti. Niente. Non un pannello con indicazioni di orari, numeri di telefono, sito web, app VisitAMI, ubicazione ufficio turistico. Certo su Internet si trova tutto e sul sito c’è una bella mappa commentata da scaricare, con foto e tutte le informazioni, ma francamente illeggibile se non la si stampa e a colori. Mettere un espositore con un pannello e le mappe-guide stampate sarebbe un’idea, nemmeno geniale, una semplice e poco costosa idea.
Già le idee …
Se le idee ci sono, se la “cabina di regia” Unesco riesce a pensare a 360 gradi (e non solo a frammenti, come per le aiuole del pino), occorre fare in fretta ad attivarle e realizzarle, perché la voce che Ivrea è diventata patrimonio dell’Unesco per le architetture olivettiane si è già sparsa nella grande comunità di studiosi ed estimatori del mondo Olivetti e le 50 visite al mese potrebbero presto decuplicarsi (è quello che vogliamo!). Facciamo in modo che nessuno possa più scrivere di “Utopia, abbandonata” parlando di Olivetti e di Ivrea.
Cadigia Perini