Era stanco il mio ragazzo in quel letto di ospedale
ma mi disse: “Non fa niente, solo un piccolo incidente
Quando si lavora sodo non c’è soldi da buttare
Non puoi metter troppa cura per far su l’impalcatura”.
Era il 1972, ero una ragazzina delle medie, quando Anna Identici portò sul palco del Festival di Sanremo una canzone che parlava di morti sul lavoro.
Cinquant’anni dopo, in quest’anno non ancora terminato, i morti sul lavoro sono oltre seicento. Non è cambiato nulla? Al contrario. Adesso a morire è anche chi al lavoro si sta preparando, o dovrebbe farlo scegliendo “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO)“, un tempo nota come “Alternanza scuola-lavoro“. Con la morte di Giuliano de Seta, di anni 18, ucciso da una lastra di metallo in un’azienda del Veneto, sono tre dall’inizio dell’anno. Giuliano aveva iniziato da pochi giorni uno stage presso la Bc Service, per maturare i crediti necessari all’ottenimento del diploma secondo i criteri stabiliti dalla riforma della scuola italiana conosciuta come la “Buona Scuola” che fortissimamente volle Matteo Renzi.
Sbirciando (quando è possibile reperirli e comprenderli) i programmi elettorali delle forze politiche in gioco alle ultime elezioni del 25 settembre, è abbastanza chiaro che nessuno, tranne Unione Popolare e Alleanza Verdi Sinistra, intende abolire l’alternanza scuola lavoro. Al massimo riformarla (è la posizione anche sindacale) degradando la morte di Giuliano e dei ragazzi prima di lui a qualcosa di eccezionale, che non si ripeterà una volta perfezionato il sistema.
L’Alternanza Scuola Lavoro è stata introdotta in forma nel 2015 con la Legge 107. Venivano previste 200 ore nei licei e 400 ore nei tecnici e professionali, con la convinzione che la scuola non preparasse minimamente ad entrare nel mondo del lavoro e che era necessaria un’educazione alle competenze da affiancare a quella delle conoscenze. Ma la scuola, anche quella professionale, non dovrebbe soprattutto aiutare ragazze e ragazzi a sviluppare un pensiero critico, una visione del mondo allargata, essere un luogo di studio, ma anche di passione, di crescita intellettuale, ma anche umana, in “attesa” della vita che le e li attende? E non tradisce sé stessa se “anticipa” durante un percorso di formazione lo sfruttamento che li attende dietro l’angolo? Se i “valori” trasmessi a questi ragazzi e queste ragazze sono la fame di profitto, l’assenza di sicurezza, se ciò che devono “sperimentare” sono lo sfruttamento, il lavoro gratuito, il rischio della propria vita, se ciò che devono imparare è che è normale lavorare gratis, senza diritti e possibilità di organizzarsi nel sindacato?
Abbiamo chiesto a tre docenti di scuole superiori di Ivrea un commento su questa tematica
‘Roberto Gallina, insegnante all’itis, entra nel merito di quanto scritto sopra. “Non è cambiato nulla?”’ 1972: 3774 morti sul lavoro, 2020: 1538. E quindi affermare ‘”al contrario…”’ è quantomeno un modo preconcetto di affrontare il problema. Che poi anche solo uno sia già di troppo, inutile sottolinearlo, ma le domande dovrebbero mirare ai dati, non alla pancia. La scuola: “pensiero critico… visione del mondo allargata… un luogo di studio, passione, crescita intellettuale, ma anche umana, in attesa della vita che li e le attende”.”” Intellettuale è disgiunto da “umana”? La “visione del mondo (…) passione (…) crescita” sono alternativi alla “vita che le e li attende?” Trovo queste parole intrise di un sentimento di ineluttabilità, invece che di liberazione. L’Alternanza Scuola-Lavoro, se ben organizzata, è un’opportunità di consapevolezza prima ancora che di preparazione tecnica.
È un’esperienza profondamente umana di realtà, che per inciso non è affatto detto sia per forza tragica o impoverente. La consapevolezza è strumento contro la supina accettazione del mondo. Viviamo in un modo (mondo) estremamente complesso, il pensiero critico non può prescindere dalla concretezza di tale complessità. Pena l’ineluttabilità del “male” imperante o un impotente senso di ribellione. Sperimentare (eventualmente) la “fame di profitto” altrui può essere più rivoluzionario del ragionare sui grandi ideali, per poi spesso trovarsi a sponsorizzarla in quanto consumatori irresponsabili o dipendenti con vista ufficio anziché officina.Io ho ormai conoscenza di centinaia di giovani che dall’Alternanza, anche all’estero, hanno tratto importanti esperienze di vita, lavorative, e tramite cui hanno avuto accesso a posti di lavoro anche di riguardo, o spunti per proseguire gli studi.Il punto è che nessuno deve rimanere ucciso da una lastra di metallo. Nessuno.
Bruna Mino, docente al Liceo Gramsci: Penso che il tema sia interessante, complesso, ma di certo è importante che se ne discuta. Personalmente ero contraria all’alternanza scuola-lavoro e lo sono anche al pcto perché sottrae tempo ed energie preziose all’attività scolastica ma, con mio grande disappunto, sul carrozzone delle proposte di attività sono saliti proprio tutti anche i sindacati, che pure dovrebbero essere consapevoli dei rischi a cui vengono esposti certi ragazzi, specie dei professionali, quando entrano nel mondo del lavoro.
E’ anche vero che gli aspetti più inaccettabili e rischiosi (sfruttamento e incidenti mortali) al liceo non si colgono nella stessa misura.
Anzi negli ultimi anni, i progetti PCTO sembrano essere gli unici degni di attenzione da parte degli studenti visto che sono obbligatori e anche dei docenti visto che sono retribuiti con maggiore facilità.In questo periodo, considerando che riscuotono una maggiore disponibilità all’impegno, sto pensando anch’io di proporre un progetto PCTO, pertanto sospendo il mio giudizio critico e declino la richiesta di collaborazione, tuttavia sono profondamente colpita da quanto è successo e auspico un cambiamento radicale.
Irene Serracchioli, docente al Liceo Gramsci: Forse non tutti sanno che il PCTO, oltre ad essere obbligatorio, dall’anno scorso viene anche valutato. Sì, e spesso proprio con un numero, che in effetti mancava alla sfilza: non solo Matematica, Italiano, Informatica, Filosofia, Scienze… ora pure le Competenze Trasversali. Vero è che quel numero non fa media, però contribuisce al calcolo dei crediti, vedi voto di ammissione all’esame di Stato. E molti docenti questa valutazione l’hanno presa sul serio assegnando ai più discoli sufficienze striminzite e punitive, tanto che ora molti studenti virano verso i progetti più semplici o più generosi, falli scemi! Vero è che soprattutto i licei abbondano di progetti interessanti e accattivanti, peccato che siano obbligatori proprio come lo studio e che quindi i poveri studenti del triennio debbano affannosamente slalomare tra libri e webinar e corsi vari, tutto ciò che fa brodo. Sempre a correre, a scegliere percorsi, a fare piani per non restare indietro perdendosi in attività infruttuose ancorché appassionanti.
La prova? Domandare alla classe chi sia interessato a una certa attività può ottenere un discreto seguito (tre, cinque, sei studenti), ma basta buttare lì come un amo la paroletta magica “ah, dimenticavo: sono ore di PCTO”, che il successo è garantito, una selva di mani alzate e l’entusiasmo a mille. D’altronde, non faremmo tutti così?
Rispetto al lavoro non pagato, altrettanto vero è poi che alcuni ragazzi d’estate hanno lavorato – gratuitamente s’intende, e mica sempre in ambiti inerenti il corso di studio: perfino come operai in piccole officine – con l’accordo di accumulare ore per il PCTO. Quando poi gli dici che “il lavoro si paga, sempre”, quelli ti guardano stupiti. Già, perché non è vero: il lavoro si paga solo se non hai bisogno di accumulare rapidamente, magari con l’obiettivo di traguardare l’obiettivo (90 ore nei licei, 150 nei tecnici, 210 nei professionali) prima che inizi l’ultimo anno.
E poi… si studia. L’ultimo anno è bene tenerselo “libero”, per studiare e pensare all’esame, ecco perché i ragazzi corrono come dei matti. In quinta lo studio, finalmente. Che sarebbe il lavoro dello studente, magari da alternare o rafforzare con meravigliosi progetti coerenti con il corso prescelto. E’ però l’obbligo a rendere tutto così innaturale. Un percorso che diventa una corsa.
a cura di Simonetta Valenti