Il 2023 si chiude con uno sguardo preoccupante sul carcere.
La fine dell’anno è anche un momento per fare dei bilanci e, almeno quello sul carcere, è totalmente negativo.
A fine novembre le persone detenute erano tornate ad essere oltre 60.000.
Da prima dello scoppio della pandemia di Covid-19 non si registravano numero così alti.
I posti disponibili, invece, sono sempre 48.000.
A destare preoccupazione, però, non è solo l’aumento della popolazione reclusa, quanto le politiche penali che il governo sta portando avanti da quando si è insediato e che sono ben rappresentati da due degli ultimi atti: il decreto Caivano e il pacchetto sicurezza.
Una serie di nuovi reati e aumenti di pene che potrebbero avere un effetto drammatico proprio sulla crescita della popolazione detenuta.
Se continuasse a questi ritmi, infatti, a fine 2024 non staremo a parlare di una possibile emergenza sovraffollamento, ma di una condizione in tutto affine a quella che portò l’Italia ad essere condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti generalizzati i suoi detenuti.
Per evitare che ciò accada, abbiamo bisogno che il 2024 diventi un anno in cui il carcere sia al centro dell’attenzione politica e mediatica.
Abbiamo bisogno di riforme, ma non nel senso in cui sono state condotte finora. Il carcere ha bisogno di maggiore apertura.
Bisogna guardare ai diritti fondamentali: al lavoro, allo studio, all’affettività. Bisogna investire in misure alternative alla detenzione. Bisogna capire che la sicurezza non si costruisce buttando in cella una persona e facendola lì marcire, ma dando a quella stessa persona strumenti economici, sociali, educativi, per affrancarsi dal suo passato criminale.
Questo è l’impegno che Antigone rinnoverà anche nel 2024