“Qui è molto dura”. Sera del 19 luglio, al telefono è un Francesco insolitamente stringato, lui che è solito alleggerire stavolta sembra assorto e stanco. E’ già a Genova da qualche giorno, a discutere se un mondo migliore sia – fosse – possibile.
Poi Giuliani, la polizia, violenza, incredulità, paura.
Ricordo un giro di telefonate e la decisione mista alla paura: andiamo comunque, si deve. E’ pericoloso, lo so, staremo attenti, si deve.
Se c’era una cosa che sapevamo fare era organizzarci, e velocemente, senza WhatsApp e ancora usando il telefono per parlare, una vita fa. Perciò via con le chiamate, varieventuali a rapporto, e la Rosse Torri, amici.
Così, dalla sera alla mattina, al netto delle nostre preoccupazioni, il pullman da Ivrea è pieno e si va a Genova.
E Genova è bellissima, cielo e mare e sole e quell’arietta da vacanza, una giornata luminosa e trasparente fatta per le gite fuori porta, Genova chiara, ignara di tutto quel dolore. Genova per noi, ci illudevamo.
Noi, zaini e bandiere arcobaleno, la faccia della pace, salutiamo amici arrivati dal sud e partiamo a sfilare, ci muoviamo a gruppi e cominciamo a notare.
Notiamo che, proprio in mezzo al corteo ma distanziati da tutti a marcare diversità, ci sono i black bloc: scuri, seri, monocromi, taciturni, viso coperto. Notiamo che tutti gli altri – cioè noi, cioè le altre tante migliaia di persone – sono distanziati, colorati, perfino pronti a sorridere nonostante tutto. E ci chiediamo dove stia la polizia, perché non si veda e non si senta.
Dove sia la polizia lo scopriamo dopo: sta addosso a noi – quelli colorati e quasi sorridenti –, al fiume del corteo che presto si sparpaglia in mille rivoli, sta addosso a noi che corriamo terrorizzati e a casaccio, a noi che ci troviamo dentro un incubo, a noi che ci sbattiamo contro le saracinesche dei negozi alzando le mani, a noi che non capiamo che cosa stia succedendo e soprattutto perché, noi che copriamo bocca e naso con un fazzoletto per continuare a respirare.
Altri flash: la pipì che scappa e nemmeno un bagno aperto (“vai in quell’angolo, che io ti copro”), Agostino che ci adotta e non ci molla forse salvandoci varie volte, fumo bianco ovunque, caschi, scudi, il sollievo di chi come noi non è stato picchiato.
Il pullman, alla fine, e un ritorno a casa un po’ così, ancora storditi e increduli.
Era solo stamattina, e Genova sembrava così bella.
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