Maman est partie

Anche Françoise Hardy se ne è andata

Una donna diventa un’icona perché colpisce l’immaginario collettivo, entra nei sogni della gioventù, si fa memoria di bellezza, diventa compagna e amica, un’amica elettiva che non si conoscerà mai di persona, ma che entra nella casa dei tuoi pensieri e la abita per tutta la vita.
Con gli anni che passano, con l’età che avanza anche i miti popolari della nostra giovinezza ci lasciano.
Anche loro, così immortali nel loro talento e nella loro bellezza, prendono congedo dal mondo, un mondo da noi condiviso e amato. Noi siamo gli orfani di questi miti, Catherine Spaak, Jane Birkin e adesso anche Françoise Hardy, tre donne protagoniste e seducenti che ci hanno ammaliato, i capelli lisci e la frangetta, il calore e l’incanto delle loro voci che hanno segnato la nostra epoca più spensierata.
Anche Françoise dunque se ne è andata, vittima di un male solo temporaneamente arginato, un male che vince sulle cure, sulla volontà di resistenza e di lotta, un male che afferma e suggella il potere dell’indifferenza anche nei confronti dei miti più acclamati. E noi, che per il momento restiamo, ogni volta sperimentiamo un acuto senso di smarrimento. Persone, che hanno costruito la colonna sonora della nostra vita, ci abbandonano, ricordandoci, una volta di più, come a farla da padrona sia soprattutto la dittatura dell’effimero.
In ogni caso il mito di Françoise rimarrà.
Da ragazzo avevo la fortuna di poter trascorrere le vacanze in Costa Azzurra dove abitano tutt’ora i miei cugini d’oltralpe. Dall’Italia partivamo in due con il sacco a pelo. La spiaggia, davanti a Nice, era ed è rimasta un’orlatura di sassi candidi. All’epoca c’era un baretto delimitato da una leggera staccionata in legno bianco e le canzoni di Francoise Hardy erano nell’aria. Impossibile non ritrovarsi in “Tous les garçons et les filles“, impossibile non sentirsi parte di quella malinconia che ci accomunava, maschi e femmine, nei primi turbamenti dell’età giovanile.
I 45 giri nel mangiadischi, le canzoni di Françoise e lei nelle sue apparizioni televisive anche in Italia, quella dolcezza formidabile, quello stile flessuoso, come se dovesse uscire, incontenibile, dallo schermo in bianco e nero della tv, sempre troppo piccolo per lei.
Ultimamente, l’avevo intravista in qualche immagine più contemporanea, rispetto a quelle consolidate della sua gioventù. I capelli, da castani, si erano accorciati nel taglio e fatti bianchi e argentati ma il viso non aveva perso nulla della sua originaria dolcezza. I miti non invecchiano e la bellezza è per sempre. Lei era cantautrice e scrittrice. In italiano aveva cantato anche “Il ragazzo della via Gluck” e tra i suoi tanti brani non posso non citare anche “Le temps de l’amour”.
Aveva sposato Jacques Dutronc da cui si era poi separata mantenendo comunque con lui un rapporto di amicizia e vicinanza. Suo figlio, di nome Thomas Dutronc, quando è mancata, ne ha annunciato la scomparsa con la semplicità lapidaria di tre parole: “Maman est partie”, le poche parole che si possono strappare all’inevitabile silenzio a cui consegna il dolore della perdita.
Françoise era nata nel 1944 e se ne è andata nel 2024, l’11 giugno, a 80 anni e adesso questo numero mi sembra non implicare alcun significato perché i miti, come si sa, non solo non muoiono, ma neppure invecchiano.
Sulla spiaggia di Nice, a volte di notte, si stava coricati sui sassi bianchi, il costume da bagno ancora umido sulla pelle, i capelli incrostati di sale. Lo sguardo spinto all’insù, come rapito dall’adunata di stelle di cui si tentava, invano, di intercettare i confini. Sull’acqua si allungava la carezza luminosa della luna, una striscia di luce in cui tuffarsi per il bagno di mezzanotte.
Mi sono sempre piaciute le canzoni in lingua francese. Adoravo e adoro Françoise Hardy. Ho letto che, ultimamente, per la sua malattia, per lo sfinimento, voleva andarsene, scivolare via, senza agonie, verso quella che, per molti, è una nuova dimensione e per altri, forse, è solo l’assenza di ogni dimensione.
Comunque sia, il nostro mondo, parlo di quelli come me che si possono annoverare tra i suoi coetanei, anno più o anno meno, il nostro mondo, dicevo, si sta spogliando. I riferimenti della nostra gioventù, i personaggi che l’hanno resa raggiante, con il contributo delle loro musica, ci salutano. E noi siamo qui con un altro tipo di malinconia così diverso da quello giovanile, una malinconia che osserva il tramonto delle cose e degli uomini, una malinconia che, seppur struggente, dice grazie alle canzoni indimenticabili di Françoise Hardy, alla sua delicata persona, alla sua stella, senza tempo, e di scintillante bellezza.

Pierangelo Scala