L’uno per l’altro. Intervista a Paolo Cognetti

Dopo la recente vittoria al Premio Strega ripubblichiamo la recente intervista  rilasciata a Elia Curzio per varieventuali da Paolo Cognetti

Lo scrittore ad Ivrea per la grande invasione.

Paolo Cognetti racconta in un’intervista Le Otto Montagne (Einaudi, €18,50), durante il festival della lettura di Ivrea La Grande Invasione (1-4 giugno 2017). Il romanzo, del 2016, è candidato al Premio Strega 2017 e pubblicato in trenta Paesi.
Cognetti è all’esordio come romanziere, mentre è autore di raccolte di racconti tra cui Una cosa piccola che sta per esplodere (minimum fax, 2007) e Sofia si veste sempre di nero (minimum fax,2012). Ha scritto la guida New York è una finestra senza tende (Laterza, 2010), il diario di montagna Il ragazzo selvatico (Terre di Mezzo, 2013) e la riflessione sulla scrittura di racconti A pesca nelle pozze più profonde (minimum fax, 2014).

Ne Le Otto Montagne, il protagonista Pietro racconta la parte della propria vita passata a Grana, un paese ai piedi del Monte Rosa. Pietro da adolescente trascorre le estati nel paese, cammina con il padre, intreccia un’intensa amicizia con il paesano Bruno, ma soltanto successivamente ritorna a Grana, quando ha trentun anni. Il filo conduttore del romanzo è l’amicizia tra Pietro e Bruno, che si conserva nel corso nel tempo.

Il romanzo è narrato in prima persona da Pietro. Come si delinea un personaggio attraverso il punto di vista interno?

“I personaggi del libro in realtà non sono completamente delineati. Mi viene in mente, per spiegare il punto di vista utilizzato nel romanzo, il narratore interno del Grande Gatsby di Fitzgerald: di lui non si sa tutto, ci sono molti segreti che sono conservati tali fino alla conclusione. Per il mio libro la scelta è simile: penso che il lettore arrivi alla fine del romanzo senza sapere tutto di Pietro”.

La descrizione precisa dei luoghi di montagna e del momento della camminata nei sentieri è un elemento chiave nel libro. Quale influenza esercita il paesaggio sull’uomo?

“Ho pensato il paesaggio come un elemento che non abbia solo la funzione di sfondo per la trama che racconto, ma come una fonte del sentimento. Il paesaggio è una fonte di scrittura e contiene delle cose. Per Pietro la montagna di Grana ha un significato, prima l’avventura, poi la memoria: il valore dei luoghi per lui è cambiato. L’influenza che Pietro subisce qui, sin dall’inizio, è l’educazione alla solitudine. In lui c’è una tensione a cercare di stare bene da solo, c’è la ricerca di un luogo dove non soffrire. In questo il personaggio mi riflette. C’è un momento, per esempio, in cui la madre gli ricorda l’importanza di uscire e di conoscere degli amici, ma la sua risposta è che non gli importa. Per quanto riguarda la tecnica con cui ho descritto il paesaggio, la mia è scrittura dal vero. Io ho camminato nei sentieri e ho scritto”.

Nel romanzo di Cognetti, Pietro vive a metà tra la montagna e la città: ama Grana e spende l’estate, ma da adulto è consapevole che la realizzazione della vita e del lavoro è in città. Bruno è invece l’uomo di montagna dall’esperienza totalizzante, conosce la montagna perfettamente e la considera l’unico luogo possibile per la propria esistenza. Grana per lui diventa presto un confine che non può concepire di superare. La sua concezione di montagna, quando è adulto, è quella del lavoro. Giovanni, il padre di Pietro, vive in città e considera i giorni a Grana come una liberazione e un momento di soddisfazione. Per lui la montagna è quella della camminata e dell’entusiasmo.

Pietro è molto diverso dal padre e da Bruno. Quando torna nella casa di Grana scopre persino che i due sono andati più volte a camminare insieme, e che lui è stato escluso. Cosa distanzia il protagonista dai due personaggi?

“Bruno e il padre di Pietro sono molto simili, molto aperti e dinamici. Pietro invece è timido, conserva dei segreti. Il personaggio è invidioso degli uomini pieni di energia,  quelli che non sentono il bisogno di mentire. Bruno è naturale, in effetti non ha mai bisogno di mentire. Questa naturalezza e questo dinamismo rappresentano la differenza dei due dal protagonista. Nel libro è contrapposta a lui la presenza di personalità dominanti”.

Cosa distanzia invece Bruno e Giovanni?

Giovanni idealizza la montagna, la vede come una valvola di sfogo dalla città, come una parentesi di libertà, come un rifugio dall’oppressione. Bruno è diverso, lui appartiene alla montagna”.

Nella terza parte del libro Bruno subisce un fallimento e infine nessuno riesce più a trovarlo. Perché è proprio Bruno a fallire?

“Bruno fallisce perché è l’incarnazione di una civiltà che ha perso. Il personaggio si elegge a ultimo montanaro, avverte la vocazione di ultimo uomo di montagna, come un santo. Nel romanzo Bruno incarna la scomparsa delle società alpine”.

A questo proposito, nella narrazione s’impone più volte la presenza di un mondo all’infuori di Grana. Nella prima fase del romanzo il paese è un luogo a sé, privo di contatti con il resto del mondo, ma successivamente Pietro riconosce l’importanza di altre realtà, della città, viene citata anche la crisi del 2008. La montagna può ancora esistere come luogo a sé stante?

“Sulle Alpi no, al giorno d’oggi è finita la storia della montagna come luogo a sé. Sono sempre presenti dei nuclei cittadini, non esiste un ambiente di montagna pura né un paese privo di contatti con il resto del mondo. E’ per questo motivo che io vado in Nepal e ci andrò di nuovo a breve: lì esiste ancora la profonda montagna, non c’è la colonizzazione che avviene invece dov’è ambientato
il libro. Questo si ricollega a quanto detto prima. Nel libro il personaggio di Bruno è l’incarnazione di un’utopia per le Alpi: il mondo della montagna come spazio a sé stante non esiste più, ma lui ancora prova a non essere conquistato, lui è deciso”.

L’ultima domanda riguarda quello che possiamo imparare da Le Otto Montagne. Il lettore avverte il bisogno di una scelta, se aderire al progetto di vita di Bruno o a quello di Pietro. Bruno ha scalato il monte più alto, Pietro vaga tra le otto montagne senza mai equipararsi all’amico, ed è questo il senso del titolo. Quale strada dobbiamo imboccare?

“I due personaggi in verità non compiono una scelta, ossia non decidono di seguire la soluzione totalizzante o quella della vita a metà. Si tratta di un’indole: i due amici hanno due indoli diverse, due destini diversi e sono due archetipi, due uomini che portano avanti due ricerche diverse. E’ un pensiero che mi fa venire in mente la vicenda di Narciso e Boccadoro di Hesse: un personaggio è nomade, l’altro è sedentario, ed entrambi sono alla ricerca continua di qualcosa che non trovano. Bruno e Pietro rappresentano queste due diverse indoli. Soprattutto, i due lati dell’uomo che i due raffigurano possono essere contenuti nella stessa persona. I due personaggi sono complementari, si osservano e si completano. Il ruolo del romanzo, dunque, non è quello di indicare una direzione. Nessuna delle due strade è quella giusta, né vagare né scalare la montagna più alta è la via preferibile”.

Un passaggio, il primo incontro tra i due amici, è esempio delle convinzioni di Cognetti. Pietro ricorda: “Attraversai, mi sedetti su un masso con i calzoni fradici e le scarpe che gocciolavano, ma quando mi voltai il ragazzino non badava più a me. Passammo dei giorni, in quel modo, lui su una riva e io sull’altra, a non degnarci di uno sguardo”. Due pagine dopo: “L’ultima scoperta fu che non solo io avevo studiato lui, giù al pascolo, ma lui aveva studiato me mentre tutt’e due fingevamo di ignorarci”. Un ragazzino ordina all’altro di spostarsi e l’altro s’infradicia nel fiume per obbedire,la differenza tra i due è evidente dalle prime pagine. Ma Bruno ha già osservato Pietro, la personalità dominante e dinamica ha sentito il bisogno di una presenza che lo completi. In questo momento i due hanno già camminato insieme, hanno già costruito una casa, si conoscono già da vent’anni.

Elia Curzio

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