A proposito del voto dei Sindaci sul bilancio della Città metropolitana
La “governance” prevista dalla cd “legge Delrio” sul superamento delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane non funziona e va cambiata
Sbaglia chi pensa, come dice il comunicato di alcuni esponenti del PD, che il mancato raggiungimento lo scorso 22 novembre del quorum (almeno un terzo dei Comuni – 106 – e la maggioranza della popolazione) per l’espressione del parere della Conferenza Metropolitana dei Sindaci al bilancio di previsione (!) 2016, presenti soli 148 Sindaci su 315, sia da ricondurre al solo fatto che la Sindaca Appendino non ha una maggioranza certa in Conferenza, così come in Consiglio.
Senza voler fare polemica con il PD, né per improvvisa benevolenza nei confronti del M5S, mi sembra che questa lettura sia piuttosto riduttiva, non affronti con la fermezza necessaria la questione vera che l’episodio evidenza: la certificata prova che la “governance” prevista dalla cd “legge Delrio” sul superamento delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane non funziona e va cambiata.
Del resto se, con un Sindaco di Torino di centro sinistra, i favorevoli avessero raggiunto, cosa possibile, la fatidica soglia di 106, che valore avrebbe un voto che vede la partecipazione di meno della metà dei Comuni del territorio metropolitano?
Non si ricorda il PD con quanti voti è stato approvato il bilancio consuntivo 2015?
Con un quorum risicato, dopo un’estenuante discussione trascinata per consentire ai rappresentanti di alcuni Comuni, telefonicamente sollecitati, di raggiungere la Conferenza e a garantire il numero necessario.
Ma la colpa di questo non è né di Fassino né di Appendino.
Infatti, quale stimolo particolare può avere un Sindaco a partecipare ad un voto sul bilancio che, quale sia la sua espressione, non avrà conseguenze certe, essendo solo consultivo e non vincolante? Perché di questo si tratta.
E un gran numero di Sindaci si sono stufati del ruolo riduttivo assegnato loro da una legge scellerata che non consentirà mai, per come è concepita, un governo del territorio metropolitano all’altezza del ruolo che la stessa legge invece disegna, questo sì opportunamente, per la Città Metropolitana. E soprattutto ha meccanismi elettorali e decisionali che sminuiscono il ruolo dei territori più esterni al Capoluogo ed alla sua prima cintura.
Per questo serve un’urgente iniziativa politica, alla quale mi auguro il PD partecipi convintamente, per arrivare alla modifica della legge c.d. Delrio.
Cosa fare in attesa che questo avvenga?
Smetterla con una gestione torinocentrica e rafforzare veramente, non soltanto con una partecipazione di facciata, il rapporto con le Zone Omogenee, che devono diventare il luogo dove maturano le decisioni. Basta, per esempio, con accordi che portano all’assegnazione di fondi europei al solo capoluogo ed alla sua prima cintura: occorre lavorare insieme per esprimere le esigenze di tutti i territori ed assicurare la ricaduta delle risorse su tutto il territorio metropolitano.
Ed è necessario respingere con forza una visione che ultimamente viene “silenziosamente” avanzata: quella che le Città Metropolitane, così come le Province, in virtù del fatto che sono enti elettivi di 2° grado, espressione dei Consigli comunali, diventano e sono la “Casa dei Comuni”. Si giustificherebbe così l’accollo di alcuni compiti svolti prima dalle Province, ai Comuni.
Non è accettabile! In buona sostanza, i Comuni sarebbero, per dirla con una bella metafora suggeritami da un collega lombardo, come quella persona che eredita inaspettatamente un castello diroccato e pericolante, ma riconosciuto bene tutelato dalla Soprintendenza, e si trova obbligato a ristrutturarlo senza avere le risorse per poterlo fare. Ecco, non vorrei che capitasse così, per esempio con parte delle strade ex provinciali che si stanno dall’anno scorso riclassificando: che si chiedesse di farcene carico, almeno di una parte, per altro nelle condizioni disastrose del sopracitato castello, perché si deve guardare avanti e vedere lo sviluppo territoriale, di area vasta, come un bene da gestire insieme.
Vista così, è un’eredità che i Comuni non vogliono!
Sto mettendo le mani avanti, ovviamente, né mi sento su Sindaco dagli orizzonti limitati, che non pensa al futuro ed al bene comune, né coglie le opportunità che il ruolo della Città metropolitana può assicurare ai Comuni.
Certamente però non mi va, e con me gli altri Sindaci, di essere preso in giro: un ente che deve avere il ruolo disegnato per le Città metropolitane non può avere le risorse e la governance che oggi la legge gli assegna.
Si riconosca che la legge così com’è è sbagliata: si lavori insieme, nell’interesse del bene comune, per cambiarla urgentemente, poi si conteranno i voti per vedere chi è maggioranza o meno.
Nel frattempo si cerchi di limitare i danni, lavorando insieme: nel mio intervento ho sollecitato la sindaca Appendino ad incontrare i Sindaci dei vari territori. La Sindaca ha dichiarato di voler istituzionalizzare un coordinamento delle Zone Omogenee per definire insieme priorità e progetti. La aspettiamo, sapendo che anche da parte nostra è necessario assicurare una partecipazione più attiva, superando le differenti collocazioni politiche, nell’interesse del futuro dei nostri territori e del bene comune che rappresentano.
Bollengo, 25 novembre 2016
Luigi Sergio Ricca (Sindaco di Bollengo)