Il decreto “Riparti Piemonte”, approvato mercoledì 27 maggio, rischia di stravolgere decenni di tutela ambientale aumentando i valori massimi di consumo di suolo. L’allarme lanciato dalla rete degli Osservatori del Paesaggio
Nonostante la normalità fosse il problema, alla normalità si comincia lentamente a tornare. Non una buona notizia per tutte quelle realtà che, a vario titolo, avevano evidenziato la necessità di un cambio di rotta del nostro paradigma di sviluppo e di consumo, a cominciare dal rapporto che l’essere umano ha con la natura. È in questo contesto che si inserisce la lettera che la Rete degli Osservatori del Paesaggio del Piemonte ha scritto per allertare e informare i cittadini dei pericoli connessi al decreto “Riparti Piemonte” in materia di urbanizzazione e di consumo di suolo.
A metà maggio la Rete (in cui rientra anche l’Osservatorio dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea) si è riunita telematicamente per discutere del disegno di legge “Riparti Piemonte – interventi di sostegno finanziario e di semplificazione per contrastare l’emergenza da COVID19” che rappresenta lo strumento normativo voluto dalla Regione per assegnare più competenze ai Comuni e stabilire tempi brevi e certi nel dare risposte pronte e adeguate ai cittadini per promuovere la ripartenza dopo l’emergenza COVID 19.
«La Rete condivide la necessità inderogabile di una semplificazione» si legge nel comunicato, «rilevando tuttavia come le nuove norme previste in materia di Governo del territorio evidenzino molteplici criticità per quanto riguarda gli effetti potenziali sul paesaggio». Quali? Gli Osservatori stilano un elenco: «manifestiamo particolare preoccupazione, in particolare, rispetto a: la proposta di deregolamentazione delle varianti urbanistiche senza garantire una adeguata documentazione in merito ai valori storico-identitari e paesaggistici dei territori interessati; la possibilità che possano essere trasformati immobili anche di valore storico-testimoniale, sia in territorio rurale che nei centri storici, senza adeguata istruttoria e in deroga alle previsioni urbanistiche vigenti; la delega a livello comunale di pareri spettanti a commissioni regionali, perdendo la possibilità di una valutazione omogenea a livello regionale di progetti rilevanti per l’aspetto paesaggistico».
Diego Corradin, presidente dell’Osservatorio AMI entra ancor più nello specifico: «L’articolo 46 del decreto regola l’estensione massima prevista per il consumo di suolo e fissa dei parametri assurdi: l’8% nei comuni con popolazione residente fino a diecimila abitanti, al 4% nei comuni con popolazione residente compresa tra i diecimila e i ventimila abitanti, al 3% nei comuni con popolazione residente superiore a ventimila abitanti». Cosa significa tutto questo? Significa che i 312 comuni dalla Città Metropolitana di Torino potrebbero, in linea teorica, aumentare il consumo di suolo di 1004 ettari, l’equivalente di circa 1.400 campi da calcio. La domanda, secondo Corradin, sorge immediatamente spontanea: «Queste cifre cosa hanno a che vedere con la ripresa economica del dopo coronavirus?». È più che evidente il fatto che questi numeri siano del tutto sbilanciati con le reali necessità di una ripresa economica e lasciano irrisolto un paradosso di fondo: a cosa serve estendere la capacità edificatoria se la popolazione continua a diminuire, si fatica a creare posti di lavoro e si hanno capannoni vuoti che non si sa bene come riempirli?
In Italia l’eccezionalità diventa sovente la regola e il rischio concreto è che le misure pensate per superare una fase contingente e temporanea vengano integrate permanentemente all’interno delle normative regionali, con ricadute pesanti sui territori. Questa deregolamentazione urbanistica, infatti, offre l’alibi perfetto a quei comuni che hanno una visione di progresso basata sulle costruzioni e sulle edificazioni o che sono comunque più sensibili al richiamo del cemento, con buona pace di tutti gli sforzi decennali che le associazioni ambientaliste hanno messo in campo per invertire la rotta e puntare maggiormente sul riutilizzo degli spazi vuoti e a processi di rigenerazione urbana.
Guardando alla situazione locale, il Comune d’Ivrea ha avviato mercoledì 27 maggio i sei tavoli tematici riguardanti la Variante di Piano Regolatore. Nonostante siano emersi diversi elementi di criticità (come la permanenza su carta degli edifici residenziali dell’area ex-Montefibre o il progetto di Traforo di MonteNavale, già bocciato in Consiglio Comunale) non una voce si è per il momento levata in merito al consumo di suolo, segno che la sensibilità per l’ambiente per cui è noto lo studio Boeri (assegnatario della variante) abbia prodotto qualche risultato positivo, per lo meno su questo versante.
Risulterebbe assurdo e irragionevole vedere l’approvazione di questa variante scavalcata da una normativa regionale che fissa parametri di urbanizzazione insensati e ci si augura che la giunta Sertoli, se pur sensibile al richiamo delle costruzioni (si pensi al caso Coop o al progetto del nuovo centro cottura), non approfitti in futuro di questa “scappatoia”.
Andrea Bertolino