1 maggio 2001. Come sempre Torino è in piazza, si manifesta per il Lavoro, un evento importante e non perché si assiste al gioco di chi sfila per primo, di chi rimane fuori dal corteo o magari dallo spettacolo delle sagome di gommapiuma e nemmeno per vedere chi sfilando da altre piazze arriverà quando tutti sono nei parchi a fare grigliate oppure nelle bocciofile.
E’ importante perché dal palco si annuncia che in occasione del G8 a Genova è indetta una manifestazione che, senza bandiere di partito, sfilerà per i diritti e contro le decisioni dei potenti del mondo.
Nei mesi successivi con l’amico Ivano ci rendiamo conto dei tanti che aderiscono e si intuisce che sarà la più grande manifestazione di sempre.
Siamo vicini come sentimento ma pensiamo che sia importante esserci, sfilare, portare la nostra presenza.
C’è in piedi un governo di destra e va contrastato con una presenza di massa. Vengono i brividi oggi a pensare che gestivano il paese Berlusconi, Fini , Pisano, Frattini, Buttiglione, Bossi, Calderoli, Giovanardi,
Castelli, Maroni, Gasparri, per citarne alcuni, e Scajola deputato a gestire l’ordine a tutela dei cittadini.
E allora si aspetta e il 20 luglio si parte. Ci accompagna il nostro essere comunisti, non per rigida ideologia, nemmeno per il tentativo di un ribaltamento di classe, semplicemente per una questione sociale. Siamo in auto verso Genova, alcuni contrattempi ritardano il viaggio, nel pomeriggio del 20 luglio ci arrivano via radio le notizie di scontri tra polizia e attivisti delle compagini sociali.
Poco intorno alle 18:30 è notizia certa: un manifestante e stato ucciso. Avvicinandoci alla città, siamo scossi, spaventati e arrabbiati: avremmo dovuto essere lì. Gli avvisi che arrivano dicono di non entrare in città, blocchi della polizia e zone rosse impediscono un normale accesso. Nei nostri occhi sgomento e dobbiamo decidere cosa fare. Valutiamo di aspettare il mattino del 21. E’ sera. Ci fermiamo lungo il muro dei cantieri navali. Cerchiamo di riposare, con la radio accesa che commenta cosa succede. Al mattino è tutto chiaro: un ragazzo è morto. Nella notte, gruppi a devastare tutto, accecati di rabbia.
Nessuno li ferma. Per cui lasciamo l’auto intorno alla lanterna e ci incamminiamo verso il luogo di partenza del corteo. Un fiume di persone, sguardi di solidarietà. Si sparge la voce che forse il corteo non ci sarà.
Scajola annuncia che i manifestanti vanno fermati e allora anche più dubbiosi, partono in corteo. Da un lato sentirsi parte di un mondo immenso di persone diverse e a te simili. Poi lungo il percorso ti accorgi che qualcosa non torna, da tutte le vie laterali blocchi di polizia e a sinistra il mare. Ti senti in trappola se devi scappare. E poi figure nere che corrono, entrano ed escono dal corteo. Anziani compagni urlano “fermateli! dov’è il servizio d’ordine?”.
Cresce la paura, la testa del corteo, al fondo di Corso Italia gira a destra, davanti al corteo in piazza Kennedy, centinaia di poliziotti in assetto di guerra. È un attimo, parte la carica, dagli elicotteri piovono lacrimogeni. Il corteo si spezza, si ferma, urla, indietreggia. Il mio amico Ivano riesce a proseguire. Io mi trovo proprio davanti alla polizia, si scappa e quello che vedo è incredibile: anziani, donne che cercano di fermare quei giovani in divisa, in risposta colpi di manganello, un autoblindo fa strada alla polizia. Ovunque e a chiunque botte, si cerca riparo dove riparo non c’è, da un lato il muro, dall’altro le ringhiere del lungomare. Per terra addossato a persone che non conosci, ma che abbracci come unico riparo. Il sapore, l’odore dei lacrimogeni, del sangue che mi scende dalla testa e di quello che vedi negli altri. Tosse, lacrime, sembra non finire mai.
Ritroverò il mio amico tre ore dopo. Distrutti, offesi, violati, rabbiosi: cosa fare? Decidiamo che è bbastanza e nella sera raggiunta l’auto, senza parlare torniamo verso casa. Ma non è finita, come all’arrivo a Genova eravamo accompagnate da notizie di morte e soprusi, anche ora arrivano notizie di qualcosa di ancora più grave: è l’inizio della notte alla Diaz e a Bolzaneto. Ne parleremo per giorni con il mio amico.
Andare è stata la cosa giusta, il rammarico è quello di non aver potuto fare niente per fermare i barbari. Ancora oggi mi rimane l’odore della paura.
Orlando Lo Sardo