Gli accordi con la Prefettura, la gestione consortile, il coivolgimento dei Comuni, la legge 132 (sicurezza e immigrazione), i progetti SPRAR, lo spettro dell’illegalità per centinaia di persone. Occorrerà difendere le esperienze d’integrazione
Non c’è Comune, consorzio o associazione che abbia con serietà e impegno non speculativo lavorato all’inclusione delle persone chiedenti protezione, che non abbia espresso giudizi negativi sulla legge 132 altrimenti conosciuta come legge sulla sicurezza e immigrazione.
Da Chivasso a Torino, da Bologna all’ANCI, dalla Comunità di Sant’Egidio all’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione). Il Comune di Ivrea tace anche se il Sindaco intervenendo al convegno del 1° dicembre indetto da Osservatorio Migranti, Consorzi InReTe e CISS-AC, ha definito la legge “sbagliata e pericolosa”.
Vediamo i danni che temiamo:
La prima osservazione riguarda proprio il rifiuto della collaborazione fra governo centrale e comunità locali. E’ già successo in passato. Nel 2011, ministro degli Interni Maroni, il governo incaricò la Protezione Civile (?!?!) di gestire la cosiddetta “Emergenza Nord Africa” e nacque la stagione degli alberghi riempiti di persone semiabbandonate a sé stesse: il Ritz di Banchette, quello di Settimo Torinese, ecc.
Lo SPRAR (e prima ancora il Programma Nazionale Asilo) ha una genesi diversa che è fondamentale e prevede proprio il ruolo decisivo e iniziale della comunità locale. E’ il Comune cioè, solo o consorziato, che si candida a gestire il servizio. Presenta un progetto e un piano costi, gestisce in proprio o più spesso attraverso un gestore (cooperativa o associazione), è responsabile della rendicontazione.
Il “sistema Maroni” del 2011-2013 oppure quello degli CAS (centri accoglienza straordinari) “taglia fuori” i Comuni. I Sindaci si vedevano arrivare le persone chiedenti protezione senza nessun preavviso (Hotel Eden Ivrea 2015 e tanti altri).
Che fosse un errore foriero di disastri negli ultimi anni se ne accorsero tutti i dotati di capacità raziocinanti e allora, attraverso le Prefetture, si corse al riparo: ridare, anche per la gestione dei CAS, un ruolo ai Comuni e alle comunità locale. La gestione consortile di InReTe e di CISS-AC avviata nel 2017 nascono da lì. Dalla consapevolezza che il fenomeno migratorio andava gestito e non subito passivamente; e andava gestito con un lavoro di educazione (cioè di aiuto alla crescita) finalizzato all’inclusione e all’autonomia.
Un gran bel lavoro.
La scommessa e promessa che fa Salvini (e il governo) con questa legge è: “non ne arriveranno più, quasi tutti i presenti saranno dichiarati irregolari e rimpatriati perciò è inutile spendere per l’inclusione, basta una accoglienza di sostentamento”.
Scusandomi per l’insopportabile educazione buonista (a scusante posso dire che son del ’48 come la Dichiarazione Universale dei Diritti degli Umani) una domanda però mi sorge spontanea (fin dai tempi di Minniti veramente): “ma se non arrivano, dove vanno a morire?” Più di mille in mare quest’anno, e gli altri?
Ma sui rimpatri la domanda è meno buonista e più terra-terra: come si fa? Perché pensavo di suggerire a tutti i migranti di dichiararsi svizzeri, o canadesi, o ….. tanto mica hai tatuata la nazionalità o un microchip infilato sotto pelle. Ma il problema è che la Svizzera, o il Canada, o il Niger o il Ciad possono dire: “non è mio, dimostralo che è nigerino, non lo prendo!”.
E’ facile invece che cacciati dall’accoglienza e senza avere un titolo di soggiorno legale, queste persone (titolari dei diritti umani, insisto fastidiosamente) siano costretti alla irregolarità.
Ma non scompaiono nel nulla, restano, con i loro problemi diventati più grandi a causa della legge.
Restano costretti a nascondersi ai controlli per non farsi galera a gratis; qualsiasi poliziotto, carabiniere, vigile urbano, finanziere preferisce avere a che fare con persone che non si nascondono o non scappano.
Con problemi più grandi che cercheranno di affrontare con l’aiuto di chi sarà disposto ad aiutare.
I Comuni, i gestori dei servizi sociali sono preoccupati di queste presenze di persone con problemi a cui è difficile, se non impossibile, fornire aiuto.
Senza prevedere automatismi è però possibile che qualche “caporale” o malavitoso abbia brindato: “la pacchia continua”.
Nel nostro bel Canavese si può immaginare, prossimamente, qualche centinaio di persone in queste condizioni.
Senza possibilità, stante le attuali leggi, di “rientrare” nella regolarità: se sei senza permesso di soggiorno puoi avere anche dieci offerte di assunzione regolare e non puoi accettarle e “regolarizzare” la tua posizione.
Accettiamo di non incassare tasse e contributi pur di tenerti nella irregolarità.
Decine di migliaia di colf e badanti “in nero” non possono “emergere” e pagare tasse e contributi per il ritornello della paura “Non passa lo straniero!”
Centinaia di migliaia di minori con genitori non italiani non sono cittadini come i loro compagni di scuola e il loro diritto a restare in questo Paese dipende da quello dei genitori.
Questa follia che è difficile non chiamare apartheid, ha radici anche nei governi precedenti.
Due sono, a mio avviso, le caratteristiche che rendono chiaro l’aspetto reazionario di questo governo.
La predicazione che i diritti miei sono in conflitto con quelli di altri, e posso realizzare i miei solo riducendo quelli altrui. Dalla legge 132 al disegno di legge Pillon, mi pare questa la filosofia;
La sicurezza si costruisce punendo ed escludendo: dall’affossamento della riforma penitenziaria e di nuovo alla sciagurata legge 132.
Quello che fa rabbia è che si erano avviati, pur in ritardo, con difficoltà e imperfezioni, si erano avviati, dicevo, percorsi condivisi e con caratteristiche educativo-inclusivo.
InReTe e CISS-AC, ma molti Comuni in tutto il Paese si rendevano disponibili ad adottare il “modello” SPRAR. Restano giacenti domande di decine di Comuni, nel solo Piemonte, che si candidavano a gestire uno SPRAR, la legge le butta nel cestino. La scelta dei piccoli appartamenti, l’accoglienza diffusa, che costruisce più facilmente relazioni, partecipazioni, conoscenza e inclusione, viene capovolta con l’imposizione di grandi centri in cui concentrare decine o centinaia di persone da controllare.
Peccato, peccato peccato. Si era avviato un percorso e costruito un patrimonio anche di professionalità che potevano, per esempio, tornare utili nella gestione di strumenti quali il reddito di cittadinanza che, o prevede percorsi di formazione, crescita e inclusione e autonomia o rischia di essere assistenza emarginante, perché è l’attività che dà ruolo nella comunità e non basta un reddito.
Sì, l’esperienze professionali degli SPRAR, quando sono state corrette, sono esperienze fruibili per tutti. Occorrerà difenderle.
Quand’era ministro Minniti ebbe a dichiarare che la sicurezza è un bene per tutti e che tutti desiderano; non è di destra, né di sinistra. Già, vero!
La differenza fra destra e sinistra, fra reazione e progressisti, sta nel come si pensa di costruirla: se con strumenti che aiutino la crescita della persona, altrimenti detti educativi, il suo inserimento in una comunità rispettosa dei diritti di tutti e costruttrice di relazioni positive oppure con il ritornello del punire, punire, punire, escludere, emarginare.
Armando Michelizza