La polizia sgombera l’occupazione abitativa di Corso Giulio Cesare 45. Cinquanta persone buttate fuori in pieno inverno. Enorme dispiegamento di polizia per il corteo di protesta nelle vie di Aurora.
La mattina del 19 gennaio è avvenuto lo sgombero dell’occupazione conosciuta come le Serrande, uno stabile sito in corso Giulio Cesare 45.
L’edificio era diventato la casa di una cinquantina di persone, in maggioranza famiglie. Per quanto vi fossero all’interno anche attivisti di varia estrazione, le Serrande non erano un centro sociale, ma una semplice occupazione abitativa, con l’eccezione di alcuni sporadici aperitivi sociali. Occupato nel 2014, lo stabile si trovava sotto ordine di sgombero già dal 2019, ma a causa di questioni più urgenti e con il successivo arrivo della pandemia nessuna azione concreta era stata finora intrapresa.
A stupire in questo caso non è lo sgombero in sé, evento diventato sempre più comune con l’amministrazione Cinquestelle di Torino, ma bensì le modalità con cui è stato effettuato: memori dei precedenti sgomberi nel quartiere come quello del fu Asilo Occupato, gli agenti sono entrati direttamente dal tetto dell’edificio per evitare che gli occupanti potessero salirci come forma di resistenza. Di conseguenza le persone all’interno si son trovate circondate dalla polizia prima ancora di avere il tempo di organizzarsi in qualsiasi altro modo, anche solo per trovare un posto dove stare.
Altro punto dolente dell’operazione sono poi le tempistiche: si è scelto di buttare fuori le persone da una casa non solo in piena pandemia, ma anche in pieno inverno, precisamente dieci giorni prima dei cosiddetti “giorni della merla”, nella tradizione popolare considerati i più freddi dell’anno.
Allo sgombero sono seguiti nella stessa giornata un presidio di solidarietà al mattino e un corteo nel pomeriggio, con circa 150 persone e un enorme numero di mezzi delle forze dell’ordine che hanno bloccato momentaneamente il traffico nel quartiere Aurora. Non si sono verificati particolari incidenti e il posto dove si trovavano le Serrande è tuttora presidiato.
Questo sgombero non è che l’ultimo di una lunga serie che ha caratterizzato l’amministrazione torinese targata Appendino. Similmente a quanto avvenuto durante il primo lockdown con il campo nomadi di via Germagnano o più recentemente con l’ex fabbrica Gondrand in via Cigna divenuto rifugio per senzatetto, nemmeno l’emergenza pandemica sembra porre un freno alla repressione del disagio sociale che la giunta pentastellata ha ormai assunto come bandiera.
Gli anni dell’amministrazione Appendino saranno ricordati per la repressione di quegli stessi movimenti sociali ai quali la sindaca, allora a caccia di voti, si mostrò come mediatrice e amica, e la cui simpatia finì per garantirle l’elezione. Da allora, nel nome dell’ormai sempiterno mantra della lotta al degrado, chiunque non accetta le condizioni poste dal comune o è impossibilitato a farlo viene dipinto come “bomba sociale” e sgomberato senza molti fronzoli.
Dopo questi sgomberi tipicamente si sente parlare di sistemazioni alternative, e si cerca di far passare l’operazione come volta alla salvaguardia della salute degli occupanti. Non si sottolinea però come queste sistemazioni alternative spariscano dopo che l’attenzione mediatica è scemata, o di come per molte persone l’alternativa ad un posto occupato sia un CIE. Similmente si può dire degli edifici, dove appena dopo lo sgombero si parla di grandi rinnovazioni e ristrutturazioni, ma che poi tipicamente si risolvono in un nulla di fatto e in un edificio vuoto e murato. Tutto in nome della guerra al degrado, spinti dal febbrile miraggio della città vetrina.
Le vittime di questa guerra le vediamo tutti i giorni, sono i senzatetto che dormono proprio sotto il porticato della palestra superaccessoriata che ha aperto in mezzo a corso Giulio, sono le case vuote e in rovina che si preferisce lasciar marcire piuttosto che farne rifugi per chi non vogliamo vedere, sono le rivolte senza causa e senza bandiera che si ottengono quando non si lascia spazio al dissenso politico. E così l’amministrazione ha creato con le proprie mani la “bomba sociale” contro la quale pensava di combattere.
Lorenzo Zaccagnini