Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta scritta dagli oltre 100 partecipanti al campo scuola di ACMOS a Boves (che si è svolto dal 18 al 22 luglio), dedicato al tema delle discriminazioni e inviata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte
Siamo i giovani del movimento di ACMOS, realtà nata a Torino alla fine degli anni ’90 e ora, insieme ad altre associazioni giovanili di diverse città d’Italia, organizzata nella rete nazionale WeCare*. Dal 19 al 22 luglio ci siamo ritrovati per il nostro tradizionale campo scuola a Boves, città medaglia d’oro al valore civile e militare dove le prime formazioni partigiane si sono organizzate a partire dalla fine del 1943. Da tanti anni scegliamo questa città perchè ci sentiamo eredi di quella Resistenza che continuiamo a portare avanti con Libera attraverso l’antimafia civile, e per questo ogni 19 luglio ricordiamo qui Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Il titolo del nostro campo di formazione “Il cielo è di tutti”, tratto da una celebre poesia di Gianni Rodari, ci è servito da spunto per riflettere e discutere di disuguaglianze e quindi di discriminazioni, e abbiamo scelto di farlo insieme a ragazzi serbi, ungheresi, ucraini, curdi, e con richiedenti asilo e rifugiati nel territorio piemontese.
La necessità di affrontare questo tema nasce dalla consapevolezza di quanto il sistema globalizzato nel quale siamo cresciuti sia fondato sulle disuguaglianze strutturali e si alimenti delle discriminazioni culturali e istituzionali che in ogni parte del mondo possiamo ritrovare. Sappiamo che la globalizzazione è un fenomeno irreversibile e per certi versi auspicabile, rispetto al quale non è possibile tornare indietro salvo prevedere un nuovo conflitto globale, e siamo altrettanto coscienti del fatto che in questo sistema globalizzato con il nostro stile di vita siamo vittime e carnefici allo stesso tempo. Siamo vittime perchè spaventati dalla precarietà delle nostre esistenze e del nostro benessere, al quale siamo stati educati ed abituati, e siamo carnefici perchè le nostre necessità di consumo pesano sull’esistenza di altre persone e sull’ambiente.
Le nostre democrazie sono malate delle conseguenze di queste disuguaglianze: la fame e la miseria di milioni di persone che cercano giustamente un posto dove vivere dignitosamente (e nel nostro mare Mediterraneo ne vediamo solo una minima parte); lo sfruttamento di masse di lavoratori in ogni parte del globo a favore dell’arricchimento di pochi; la disoccupazione crescente figlia della smaterializzazione del lavoro; la distruzione dell’ambiente e dei beni comuni vitali.
La discriminazione, a partire da un concetto di presunta “normalità”, colpisce in maniera ingiustificata particolari categorie di persone: lo sanno quelli che hanno un colore della pelle differente, lo sanno quelli che devono vergognarsi ogni giorno del proprio orientamento sessuale, lo sanno quelli che devono continuamente giustificare la propria fede religiosa, lo sanno quelli che trovano tante porte chiuse a causa delle loro disabilità fisiche. In molti patiscono quotidianamente questo stato di cose alimentato dalle narrazioni irresponsabili di alcuni media e dal diffondersi incontrollato delle fake news, e ci spaventa quanto favore ottenga la cultura del capro espiatorio.
Ci spaventa perchè mina alla base la possibilità di tutti di avere delle condizioni di autodeterminazione necessarie alla realizzazione del singolo dentro la società.
Ci spaventa perchè questo stato di cose non potrà che sbriciolare il legame sociale che ci tiene insieme e quindi portarci a prevedibili conflitti alimentati dall’odio, dei quali saremo tutti responsabili.
Conseguenza e occasione di un mondo globalizzato è una società formata da tante culture: è compito della politica favorirla e tutelarla, lavorando affinchè le differenze non diventino conflitto, pretendendo il rispetto dei doveri e dei diritti di tutti.
Bisogna ritornare a parlare dei diritti e dei doveri che costruiscono il nostro legame sociale, per non dimenticarci che le uniche categorie di persone da colpire dovrebbero essere quelle che non li rispettano: i mafiosi, i corrotti, gli speculatori senza scrupoli e gli imprenditori senza responsabilità. Queste persone sfruttano e alimentano la paura, per creare distanze e gestire il potere, per prendersi il nostro futuro. Sono loro che alimentano le disuguaglianze, indeboliscono e impoveriscono le democrazie, e vivono all’ombra dei capri espiatori di cui parlavamo.
Lo fanno in Italia, in Ucraina, in Ungheria, in Serbia, in tutta l’Europa, nel mondo intero.
Per contrastare tutto questo, la società civile e la politica dovrebbero impegnarsi affinchè l’Europa si fondi sulla democrazia, sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti umani, superando i muri e le divisioni. Il nostro pensiero non può che andare ai 69 giovani norvegesi e laburisti che il 22 luglio del 2011, vivendo un’esperienza simile alla nostra sull’isola di Utoya, riflettevano su come realizzarla, quell’Europa che anche noi sogniamo: per questo sono stati sterminati da un criminale nazionalista che voleva uccidere le loro idee di democrazia e multiculturalismo.
Anche per loro ci stiamo organizzando e impegnando, alimentati dalla speranza di un domani migliore, lavorando nelle scuole di ogni ordine e grado, abitando i quartieri delle nostre città, incontrando e convivendo con la diversità.
Chiediamo di fare altrettanto a chi ha giurato sulla nostra Costituzione, che ci impone di garantire e tutelare la giustizia sociale e la Pace.
Diego Montemagno Presidente associazione Acmos
* La rete WeCare è composta da: associazione 21 Marzo di Verbania, associazione SerMais di Novara, associazione Acmos di Torino, associazione Legalitè di Sarzana, associazione Rime di Trieste, associazione Prendi Parte di Bologna, associazione Le Discipline di Firenze, associazione UVA di Roma, associazione Share di Foligno