Voucher: le grandi aziende li usano e danno vita ad una dignità del lavoro ad “intermittenza”. Com’è la vita di un lavoratore pagato solo a voucher e come si comporta la banca di fronte a questo buono lavoro?
Il 24 febbraio il giornale “il manifesto” ha pubblicato la lista delle prime quindici aziende che, a livello nazionale, si servono dello strumento dei voucher per pagare i propri dipendenti. Gamestop, McDonald’s, Juventus F.C., Chef Express e altre sono le società che stando ai dati INPS trasmessi alla CGIL avrebbero emesso voucher per valori lordi superiori al milione di euro. Le ragioni del perché la CGIL avrebbe insistito per avere questa lista sono chiare: «Per dimostrare che una parte rilevante del lavoro prestato attraverso i voucher fa capo a grosse aziende (oltre che al pubblico), dove è altamente probabile che si stia operando una vera e propria sostituzione non solo del lavoro stabile, ma anche di quello flessibile».
Tra aprile e giugno il Governo dovrà fissare la data dei due referendum popolari sul lavoro promossi dalla stessa CGIL, uno dei quali avrà come quesito la richiesta di abolizione totale dello strumento dei voucher.
A gennaio il sindacato (più precisamente SPI-CGIL) era stato accusato di utilizzare gli stessi voucher che suggerisce di abolire, quasi che si trattasse di una contraddizione, ma il segretario regionale dei pensionati dell’Emilia Romagna aveva chiarito che il loro era un utilizzo proprio dello strumento che regola il lavoro occasionale, non un utilizzo improprio.
I voucher del Comune di Ivrea
Nel corso del 2016 anche il Comune eporediese si è servito dello strumento del lavoro occasionale. Alcuni lavori di manutenzione sono stati effettuati pagando 8 lavoratori tramite voucher. I consiglieri di minoranza Comotto e Tognoli hanno presentato una mozione per chiedere che il comune non ne faccia più uso, in quanto, a loro dire, questo ne costituirebbe un utilizzo improprio. Intanto il comune d’Ivrea ha già pianificato di pagare altri 10 lavoratori per il 2017 tramite lavoro occasionale.
Che cosa sono, brevemente, i voucher?
Il voucher è un buono lavoro erogato dall’INPS che regola il cosiddetto lavoro occasionale, ovvero lavoro “saltuario”, non regolare e non riconducibile ad alcuna forma di contratto. Erano stati introdotti nel 2003 per cercare di far emergere il lavoro in nero (ripetizioni scolastiche o pulizie). Inizialmente era mirato per lo più a quelle categorie di lavoratori meno tutelate: disoccupati, studenti, pensionati, ma negli ultimi anni ne è stato esteso l’utilizzo quasi ad ogni ambito di lavoro.
Semplifichiamo con un esempio: sono un titolare e ho bisogno di una persona che per due soli week-end promuova un prodotto con uno stand in piazza. Dal punto di vista del titolare non avrebbe senso ricorrere ad una forma contrattuale e per questo motivo si ricorre al voucher.
L’attuale legislazione prevede che il lavoratore possa percepire un massimo di 7.000 euro netti (9.333 lordi) annuali con i voucher. Il datore di lavoro non deve far altro che recarsi in tabaccheria o alle Poste, acquistare il “buono lavoro”, registrare l’orario di lavoro e consegnarlo al lavoratore a prestazione conclusa.
Il punto di vista del lavoratore
L’estensione a quasi tutti gli ambiti di lavoro ha fatto sì che negli anni l’utilizzo del voucher aumentasse vertiginosamente. Stando ai dati INPS si è passati dai 2,7 milioni di voucher del 2008 ai 115 milioni del 2015 e questo dato unito al fatto che anche le grandi aziende (proprietarie di grandi capitali) se ne servano dimostra come l’obiettivo non è quello di far emergere il lavoro in nero, bensì quello di eludere certe tutele del lavoratore onerose. Con il voucher spariscono buste paga, tredicesime, quattordicesime, ferie, giorni di malattia, T.F.R. e non si può nemmeno parlare di licenziamento: semplicemente, raggiunto il tetto massimo dei 7.000 euro, non si può più rinnovare il rapporto.
È del tutto ragionevole pensare che una persona, trovandosi di fronte a diverse possibilità, mai sceglierebbe il voucher. Se accetta è perché in quel momento della sua vita non sta trovando di meglio.
Come si comporta la banca di fronte al voucher?
Il discorso intorno ai voucher è ampio; molti temi sono già stati affrontati e molti altri se ne affronteranno in vista dei referendum popolari sul lavoro. Si è pensato, qui, di proporne uno marginale, che raramente emerge dalle discussioni. Cosa succede se una persona retribuita solo a voucher volesse chiedere un prestito ad una banca?
Potrà sembrare una domanda sciocca, ma per poter accedere ad alcuni beni di prima necessità la banca è un “intermediario” quasi obbligato. Prendiamo l’esempio dell’automobile. Pur potendo usufruire di un sistema di trasporto pubblico, le persone che abitano al di fuori delle città sanno bene quanto l’automobile sia, oggi giorno, indispensabile per potersi spostare. Il Canavese ne è un chiaro esempio. Un ragazzo che volesse acquistare un’auto con i soldi guadaganti con i voucher, potrebbe chiedere un aiuto alla banca?
Si è provato a chiedere ad Unicredit e Intesa SanPaolo e in entrambi i casi la risposta è stata negativa. Micro-prestiti le banche già li offrono, ma sempre con in calce la firma di una persona con reddito (tendenzialmente un genitore). Solo i voucher non costituiscono una garanzia sufficiente per gli istituti di credito. Questa difficoltà a trovare una quadra tra lavoro occasionale e micro-prestiti rallenta il processo di emancipazione delle persone o dei ragazzi giovani.
Molti ripetono sovente il ritornello “non esiste più il posto di lavoro fisso, ormai si dev’essere flessibili”. Il lavoro occasionale fortifica quest’affermazione, ma in questo passaggio non si perde solo la stabilità del posto fisso, ma anche le tutele, le garanzie e le opportunità indispensabili per rendere tangibile la dignità di una persona.
L’idea che il lavoro non debba più essere stabile è opinabile, ma pur sempre accettabile. L’idea che anche la dignità debba essere “occasionale” no.
Andrea Bertolino