Finisce l’anno in cui il nostro Paese ha abolito il diritto d’asilo previsto dalla Costituzione. Lo ha fatto per alcuni mesi, ma non possiamo dirci sicuri che sia ristabilito il diritto costituzionale. Sul nostro territorio, intanto, com’è cambiata la gestione migranti con l’introduzione delle “leggi sicurezza”?
Occorre essere chiari fino alla pedanteria con chi non capisce o non vuole capire.
Come si esercita il diritto di asilo?
Previsto dall’art 10 della Costituzione antecedente e più ampio della Convenzione di Ginevra del 1951.
Ovviamente bisogna fare domanda, sottoporsi ad un esame, avere una risposta (accoglimento o diniego).
Ma se viene impedita la domanda, non ci sarà risposta. Elementare dottoressa!
La domanda deve essere fatta di persona: no telefono, no sms, no whatsapp, no fax, no email….
Di persona e sul suolo italiano, no ambasciate, no consolati italiani all’estero. Di persona e in Italia.
Unica eccezione i benemeriti corridoi umanitari che organizzazioni laiche e religiose in collaborazione con UNHCR e governi italiani hanno attuato in casi tanto emblematici di umanità e razionalità, quanto esigui: una goccia nel mare (ops!)
Chiudendo i porti, respingendo in Libia, ma anche in Slovenia o Austria, persone che vorrebbero entrare, si impedisce loro di esercitare il diritto a domandare protezione, asilo.
Siccome per chiedere, l’unico modo è di entrare, è insopportabile sentire definire “illegali” gli ingressi di coloro che ce la fanno a bucare le frontiere e a presentare domanda.
Linguaggio insopportabile perché fa intendere che vi sia una modalità legale di accedere ad un diritto stabilito dalla Costituzione; modalità legale che non c’è.
Lo ha chiarito il 28 novembre, il Tribunale di Roma, applicando l’art. 10 della Costituzione italiana, a seguito di un’azione promossa da Amnesty International Italia con il supporto di Asgi (Associazione Studi Giuridici Immigrazione)
Il Tribunale ha accertato il diritto di entrare sul territorio dello Stato allo scopo di presentare domanda di riconoscimento della protezione internazionale per 14 cittadini eritrei respinti in Libia il 1° luglio 2009 dalla Marina militare italiana oltre al diritto a risarcimento dei danni subiti.
Come si vede il tentativo di negare il diritto è precedente all’avvento di Salvini, che ne ha solamente perfezionato elettoralmente la perfida illegalità.
Ma, come se non bastasse, i danni non si limitano a questo. I decreti “sicurezza” hanno provveduto a ridurre anche i diritti delle persone che riescono a e entrare nel nostro fortino assediato dalle nostre paure.
Ce la fanno grazie, soprattutto, alle Ong che salvano vite e anche un articolo della nostra Costituzione.
Con la riduzione al lumicino della protezione umanitaria e la riscrittura dei capitolati per la gestione dei CAS (Centri Accoglienza Straordinaria) si è completata la strategia leghista (approvata dalla maggioranza del precedente governo) che ha questi capisaldi:
- respingere il più possibile, anche rimandandoli nell’inferno certificato dei centri della Libia;
- per quelli che ci sfuggono e riescono ad entrare garantire il meno possibile perché sono destinati all’espulsione, niente scuola, niente attività socializzanti, aspettino in sospensione se ce la fanno;
- con l’abolizione della protezione umanitaria (che lede di nuovo l’art. 10 della Costituzione, ma chi se ne frega) i riconosciuti degni di protezione saranno pochi, pochissimi e potranno accedere al SIPROIMI (Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per i Minori stranieri non accompagnati) che sostituisce lo SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) che era stato istituito nel 2020 con la legge Bossi-Fini (legge 189/2002) – Non cambia solo nome: sparisce l’accoglienza RA ovvero dei richiedenti. Finché sei in attesa starai in una accoglienza puramente alberghiera di basso livello: torna la pacchia per albergatori in pre-fallimento e approfittatori di ogni risma comunque camuffati;
- per i tanti che avranno risposta negativa (diniego) resta la possibilità di un ricorso alla magistratura (ridotta a un solo grado dal precedente Ministro Minniti) e poi l’espulsione che in realtà è la relegazione nella irregolarità che farà tanta gola agli organizzatori del lavoro nero quando non alla malavita più o meno organizzata.
Il presidente Mattarella aveva indicato limiti e manifestato perplessità sul contenuto di questi capolavori, ma non li aveva bloccati.
Il nuovo governo? Si rincorrono voci di prossimi interventi correttivi delle parti più irrazionali e inumane della attuale legislazione. Francamente è difficile essere ottimisti.
Un’occasione è stata già persa: era stata presentata (dalla senatrice Bonino e dai senatori De Petris, Errani, Grasso, Laforgia, Nugnes, De Falco, Buccarella, Montevecchi, Marilotti) la proposta di regolarizzare i cittadini non comunitari senza titolo di soggiorno a fronte della stipula di un contratto di lavoro. E’ stata respinta dalla Commissione bilancio del Senato, dopo aver ricevuto il parere contrario del governo.
La misura avrebbe portato quasi un miliardo di nuove entrate all’anno allo Stato, oltre a una serie di benefici concreti incidendo su lavoro nero, evasione, concorrenza sleale, marginalità sociale e sicurezza.
Sarebbe stata una “sanatoria”? Sì! l’ennesima dal 1990, ma se si continua con politiche stupide si producono guasti che poi tocca sanare, malamente.
Alla Camera è in corso l’esame della proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo “Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari”, depositata con oltre 90.000 firme alla Camera dei deputati il 27 ottobre 2017, che prevede misure – come l’introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per la ricerca di occupazione, la regolarizzazione su base individuale degli stranieri “radicati” – che contribuirebbero a sottrarre dalle fila del lavoro nero e dei circuiti illeciti centinaia di migliaia di persone, dando inoltre risposte efficaci al soddisfacimento del fabbisogno di personale di origine straniera delle nostre aziende.
E sul nostro territorio?
Quello che indigna è assistere al tentativo di distruzione che le leggi “sicurezza” e conseguenti decreti per appalti CAS rischiano di provocare a un percorso complicato, difficile, faticoso e certamente con fallimenti, ma che andava nella giusta direzione: costruire strumenti e metodi per una accoglienza educativa, dove educazione significa crescita della capacità delle persone di relazionarsi, di esprimere e accrescere competenze, di costruzione del proprio futuro in relazione armoniosa con la comunità che accoglie.
Era iniziato con la maturazione di molti Comuni della convinzione di volersi e doversi interessare “del problema migranti” attraverso i due consorzi In.Re.Te e CISS AC. Quindi con un’azione di definizione di azioni e delle responsabilità di realizzazione, del controllo, del monitoraggio non puramente fiscale ma dinamico che partendo dai limiti cercasse di superarli. Un lavoro con la partecipazione anche delle risorse del territorio. Tipico il lavoro per l’apprendimento della lingua con l’apporto dell’Ente pubblico (CPIA) delle cooperative ad integrazione con insegnanti e del volontariato organizzato e di singole persone.
La direzione era che i CAS diventassero, per contenuti, uguali agli SPRAR per rispetto alle persone e alle risorse impiegate: perché noi umani non siamo “programmati” per restare sospesi! Non possiamo!
E i risultati si sono visti. Nel Consorzio In.Re.Te sono quasi raddoppiati i Comuni dove privati cittadini hanno aperto le porte di 46 alloggi che sono stati affittati, 250 i partecipanti ai corsi di lingua; il 18% ha frequentato corsi di scuola media superiore, 56 corsi di formazione professionale, 151 i tirocini attivati, 80 inserimenti lavorativi, 9 persone ospitate presso famiglie del territorio.
Insomma un prezioso percorso che dava risultati e costituiva una preziosa esperienza professionale per operatori dell’inclusione.
Tutto rischiava di infrangersi il 31 dicembre con lo scadere della convenzione.
Invece c’è la proroga fino al 31 marzo prossimo, e non deve essere stato banale e semplice per Prefettura, Consorzi e cooperative, nei diversi ruoli e responsabilità, ottenere questo risultato che, comunque, segna una riduzione delle attività che vuol dire meno servizi ai migranti e meno stipendio agli operatori.
Ma naturalmente saranno tre mesi in cui occorrerà mobilitarsi per difendere i diritti dei migranti, il lavoro degli operatori dell’accoglienza inclusiva, ma anche la nostra cultura, umanità, capacità di gestione di problemi non semplici, ma ineludibili.
Non è esagerato definire questa partita fondamentale: i dati demografici sono spaventosi e solo degli irresponsabili possono far finta di niente. I nostri interessi e quelli delle persone migranti coincidono, sono gli stessi. Semplice e non rinviabile.
Per intanto potete firmare l’appello per l’abolizione dei decreti sicurezza e l’annullamento degli accordi con la Libia. Andate su www.ioaccolgo.it
Osservatorio Migranti